"ROMA CAPOCCIA" IL GENIO DI UN ADOLESCENTE di Claudio Di Giampasquale
Antonello Venditti ci ha donato un vero e proprio inno alla bellezza della Città Eterna. Si dice che scrisse «Roma Capoccia» appartato dentro la sua stanza dell'appartamento in via Zara numero 13 nel quartiere Trieste a solo quattordici anni, quando era un introverso adolescente. Il suo nome di battesimo era Antonio ma sin da piccolo mamma, papà e tutti i suoi cari lo chiamarono Antonello. Era figlio unico della professoressa di lingua latina Wanda Sicardi e di Vincenzo Italo Venditti un funzionario di stato che diventò viceprefetto di Roma. Fu la mamma in particolare a trasmettergli un amore viscerale per la sua città attraverso tanti racconti di storia e tante lunghe passeggiate in centro nelle quali gli raccontava per filo e per segno ogni cosa che vedevano. Antonello crebbe all'insegna della romanità e con l'orgoglio d'essere romano e romanista la squadra del cuore di mamma e papà; c'era allora la Roma di Manfredini, Lojacono, Angelillo, Da Costa il brasiliano bianco. E questi sentimenti lo porteranno a scrivere i tre meravigliosi inni: il primo «Roma Capoccia» in onore della sua città lo compose nel 1963. Il secondo «Roma core de sta città» dedicato alla AS Roma lo compose nel 1975. Il terzo «Grazie Roma», lo regalò alla sua amata squadra quando vinse lo scudetto del 1982-83 era la Roma di Paulo Roberto Falcão.
Antonello imparò a leggere e scrivere la musica e suonare il piano nel doposcuola elementare in via Novara 22. Nel Natale del 1961 ricevette per regalo un pianoforte. Quando giunse l'adolescenza era un ragazzino che non si piaceva, tendeva a ingrassare e per questo triste e malinconico. Tuttavia pieno d'interessi, straordinariamente profondo nell'animo. Dotato d'intelligenza e raziocinio, attento a ciò che accadeva nel mondo. Ma sopra a tutto era incredibilmente sensibile. E questa sua sensibilità lo portò a scrivere e raccontare le sue passioni e i sentimenti che lo tormentavano. Il giovanissimo Antonello, poco più che bambino, fu istintivamente un precursore dei tempi che presto verranno. Trascorreva le domeniche seduto al pianoforte componendo poesie e canzoni nelle quali trasfondere i suoi vulcanici stati d'animo. Preferiva usare il romanesco. A quattordici anni compose il suo primo brano: «Sora Rosa» una canzone che dopo oltre sessant'anni è ancora attualissima: il grido amaro di un ragazzo colmo d’energia ma che purtroppo non trova spazio in un paese popolato da arrivisti attaccati alla poltrona. Il destino di quel giovane, di molti giovani: scegliere una soluzione tra l'oblio della rassegnazione, il suicidio, oppure andar via con la speranza di trovare il proprio futuro altrove, lontano da casa: «...me ne vojo annà da sto paese marcio che ci'ha li bbuchi ar posto der cervello...».
Un'altra passione del piccolo Antonello era giocare al calcio come quasi tutti i bambini. Nel libro «Correndo correndo con Antonello Venditti, fra calcio e musica» di Luca Vittorio Lazzerini e Marcello Lazzerini si racconta che nei tornei parrocchiali e studenteschi del quartiere Trieste faceva parte di una squadra chiamata "Abelarda" in cui giocava terzino. Poi purtroppo fu costretto a smettere perché dovette mettere gli occhiali.
Ma nell'anima e nel cuore del piccolo Antonello c'era soprattutto la sua amata Roma. E così gli venne quasi di getto comporre il capolavoro che diverrà l'inno della città. «Roma Capoccia», una dichiarazione d'amore, ma anche un ritratto delle sue sfumature più complesse con un testo che ne esalta la maestosità ma non ne nasconde le difficoltà e le contraddizioni. Un gioco armonico e soffice tra il vernacolo e l'italiano che racchiude tutta l’anima dell'urbe. La scelta del titolo fu un colpo di genio. Roma non è solo la capitale di un passato glorioso, ma anche un luogo di contraddizioni, testardaggine e fierezza: la melodia malinconica e i versi in romanesco di questo brano dipingono la città come un sogno sospeso tra grandezza e quotidianità, tra eterna bellezza e l’imperfezione di chi la abita. Certamente spinto dalle tante passeggiate fatte con mamma Wanda in centro, Antonello ha dipinto in cinque strofe un quadro vivido e appassionato, cogliendo tutta la magia e la complessità "sotto l'ombra der cuppolone", raccontata attraverso fotogrammi colti dalla purezza dei suoi occhi girovagando per la città, ma anche attraverso il tumulto interiore che stava vivendo. Con un sublime contrasto tra passato e presente, tra sacro e profano, tra amore e rabbia: cioè l'humus culturale romano e dei romani che per sempre si sono sintonizzati con questa colonna sonora di Roma. Incredibilmente a soli quattordici anni il giovanissimo Antonello compì un capolavoro di tale misura. E così di generazione in generazione è divenuto l'inno della città che fu dei Cesari. Una città così amata, ma anche detestata. Una città così eterna, così straordinariamente bella. Così universale. L’urlo liberatorio del ritornello è la voce e l'orgoglio d'ogni romano e di chiunque si sia lasciato travolgere da Roma: la città che strega, che avvolge e da cui, se ti ci abitui, non vuoi più andar via.
Qualche anno dopo Antonello Venditti presentò il brano in un provino al mitico Folkstudio (che all'epoca era una fucina di musica e talenti) in via Garibaldi 58 a Trastevere appena sotto il Gianicolo. Conobbe Francesco De Gregori, divennero grandi amici.
Trascorsero pochi mesi da quel provino e
«Roma Capoccia»
fu pubblicata sul lato B del 45 giri che presentava sul lato A un altro suo capolavoro:
«Ciao uomo». Fu trasmessa per la prima volta alla radio nel 1972 ed ebbe un enorme successo in un periodo molto prolifico in cui Venditti condensò nel proprio repertorio canzoni d'amore e d'impegno sociale. Finchè mercoledi 8 marzo 1978 nella "Giornata internazionale della donna" pubblicò il suo settimo album dal titolo
«Sotto il segno dei pesci»
con otto straordinari pezzi che lo lanciarono nel firmamento delle stelle della musica. Il resto è storia della canzone italiana e d'un immenso cantautore che nella sua carriera ci ha regalato un numero impressionante di capolavori musicali. Un uomo che in oltre mezzo secolo di concreta creatività è divenuto una pietra miliare della canzone italiana e
orgojo dé Roma. Grazie Antonello.