C'ERA UNA VOLTA A ROMA "LA FESTA DELL'UVA" video dell'Archivio Storico Istituto Luce
Nell'era fascista, la festa dell'uva nella capitale, come nel resto d'Italia, fu istituita a livello nazionale il 28 settembre 1930 per far fronte alla sovrapproduzione di uva, che rappresentava un problema per l'agricoltura italiana in crisi. Lo scopo era rendere popolare il consumo del frutto e dare un'immagine positiva del settore. Le celebrazioni includevano sfilate di carri allegorici con temi fascisti o vendemmiali, la vendita di uva da parte di ragazze in costume e l'uso delle feste per scopi propagandistici.
A Roma, lo straordinario evento consisteva nel celebrare nei rioni del centro le migliori qualità di uva coltivata nei vigneti della provincia ed esporle in grandi piazze tra le quali Piazza del Popolo, sino alla festosa sfilata conclusiva in piazza di Siena nel cuore di Villa Borghese. L'unione degli agricoltori allestiva bancarelle ricche di uva presso la Basilica di Massenzio. Venivano organizzate sfilate di carri allegorici, simili a quelli del carnevale ma con temi legati alla vendemmia ed al fascismo. Costumi, rappresentazioni metaforiche e colorite richiamavano temi come l'espansione coloniale e l'identità nazionale. Le sfilate servivano anche ad esaltare l'immagine del contadino italiano e a coinvolgere la popolazione, specialmente quella rurale.
Oltre agli eventi nazionali, diverse località vicino a Roma e in tutta Italia organizzavano le proprie sagre dell'uva, talvolta inglobate nella propaganda di regime. Un esempio fu la Sagra dell'Uva di Marino (ancora in essere), istituita cinque anni addietro, nel 1925, per iniziativa del poeta romano Leone Ciprelli. Il regime la inserì nella propria retorica, usandola come esempio.





