QUANDO A ROMA C'ERANO GLI "SCOPINI" di Claudio Di Giampasquale
In passato gli spazzini erano figure fondamentali per mantenere pulite le strade della città. I territori d'azione erano ripartiti in zone nelle quali operavano in uniforme o camice scuro e berretto d'ordinanza, muniti d'una grande scopa e di un carrello con uno o due bidoni e una pala. Si occupavano di spazzare selciato e marciapiedi, rimuovevano i rifiuti gettati a terra, ed altro di sgradevole. Era un lavoro manuale considerato umile, tuttavia molto rispettato. I più di questi onesti lavorotatori lo facevano con dedizione e amorevolezza. I romani li chiamavano col simpatico termine "scopini". Roma risente della loro scomparsa.
Nell'audio qui sopra la voce di Alberto Sordi in un breve sketch del film «Mamma mia, che impressione!» del 1951 di Roberto Savarese in cui Alberto un giovane biondissimo, dai modi effeminati ed infantili, sciocco al limite della stupidità, invadente col prossimo, ma timidissimo con la signorina Margherita, affacciandosi alla finestra di casa sua in via Carlo Felice all'Esquilino, si rivolge importunamente a uno spazzino, mentre sta spazzando il selciato del rione, più volte col termine: «scopino! scopino!...».
Un pò di storia della raccolta dei rifiuti a Roma
La gestione della nettezza urbana a Roma ha avuto un’evoluzione nel tempo, passando dall'amministrazione pontificia a quella comunale. Durante il periodo dei "papi-Re" le sue funzioni erano affidate alla Prefettura delle acque e strade, anche durante la breve parentesi della Repubblica Romana. Pochi anni prima dell'annessione al Regno d'Italia, nel 1864, questa prefettura fu soppressa e il compito passò all’amministrazione comunale, che iniziò a bandire gare d’appalto per la gestione dei servizi collegati alla pulizia della città. Questo sistema di concessioni continuò anche dopo la breccia di Porta Pia, fino al maggio 1886, quando il Comune decise d'istituire un proprio servizio per gestire direttamente la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
Durante il governatorato di Roma, il servizio di nettezza urbana divenne a gestione mista: nelle zone centrali fu gestito direttamente dal comune, mentre nelle zone periferiche era affidato in appalto a imprese private. Le competenze erano piuttosto ampie e includevano la pulizia delle strade, il ritiro dei rifiuti domestici, l’innaffiamento, le attività di contrasto agli insetti: mosche, zanzare scarafaggi, ed anche ai topi, e la costruzione, manutenzione, pulizia e disinfezione di orinatoi e lavatoi pubblici. Inoltre, il Comune si occupava di attività straordinarie come la rimozione di neve e grandine, l’approvvigionamento di acqua potabile in zone prive di questo servizio, e talvolta anche di aiutare i vigili del fuoco. Durante il "Ventennio" questi appalti furono spesso affidati alle imprese private «Tudini & Talenti», la «Elia Federici», e la «Romolo Vaselli», spesso in connessione con appalti per la manutenzione stradale.
Nella seconda metà del secolo, si decise d'abbandonare progressivamente il modello di partenariato pubblico-privato, puntando invece alla completa municipalizzazione del servizio. Questo processo portò gradualmente negli anni Novanta alla creazione di diverse strutture: nel 1992 nacque l'AMNU (Azienda Municipale Nettezza Urbana). Solo dopo due anni nel 1994, questa fu rinominata AMA (Azienda Municipale Ambiente) che nel 2000 divenne una società per azioni unipersonale, con il Comune di Roma come socio unico che da non molto tempo è tornato al modello di partenariato pubblico-privato.
TORNIAMO ALla leggendaria figura degli "scopini"
I termini "scopino" e"spazzino" non si usano più. L'«operatore ecologico» moderno è una figura decisamente diversa da quegli omini dotati di una grande scopa, di un carrettino e di una pala. Le loro grandi scope che arrivavano dappertutto compresi i pertugi, negli angoli e sotto le automobili, sono state sostituite oggi da macchinari spazzastrade e spazzamarciapiedi.
C'erano una volta uomini che ogni giorno con il loro carretto giravano per i rioni e i quartieri a raccogliere l'immondizie per le strade, e i reflui delle case. All'epoca senza il consumismo sfrenato, di rifiuti ce n’erano molti di meno, appena un po’ di scarti umidi, qualche raro barattolo, non c’era ancora l’obbligo di confezionare ogni cosa e gli acquisti delle famiglie, oggi pressate dalla pubblicità, non erano così convulsi. Lo scopino era un personaggio semplice, conosciuto da tutti, era al servizio della comunità e le persone uscivano da casa con un secchio rimediato per conferire i rifiuti allo spazzino, qualcuno addirittura quando lo vedeva arrivare, azzardava il getto d'un sacchetto di carta meno colmo di spazzatura asciutta dal balcone con un gesto d'intesa. Le loro grandi scope erano costituite da un lungo manico cilindrico (simile a un bastone) alla cui estremità erano attaccati ramoscelli quasi paralleleli. Il loro carretto inizialmente di legno poi di metallo, trasportava prevalentemente due grandi bidoni contenitori.
Gli spazzini erano figure silenziose, concentrate nel loro lavoro, assorte nei propri pensieri. Persone pregne di dignità e compostezza nelle loro azioni fatte con la calma paziente di chi quotidianamente "scolpiva" il suo personale pezzo senza proclami e senza clamore. Amavano silenziosamente il proprio lavoro, tanto umile quanto rispettabile in ogni semplice gesto, perchè: «quando si ama, si vede la bellezza nascosta in ogni cosa» e gli scopini amavano silenziosamente Roma.
Uno scopino all'opera alla fine di Ponte Garibaldi inizio di via Arenula. Questo scatto del 1910 restituisce un vivido frammento della vita urbana all’inizio del ventesimo secolo, con i binari del tram, i lampioni in ferro battuto, e il fervore di venditori ambulanti, passanti che si muovono tra palazzi borghesi ...e uno spazzino che pulisce.
Oggi lo scopino non esiste più, cancellato nel nome, cancellato dalla tecnologia, cancellato nel ruolo di umile e dignitoso servitore. Fino al cosìdetto "Illuminismo" stava proprio in cima alla lista dei mestieri malfamati, accomunato a quello del boia, delle prostitute e degli attori girovaghi. Nella Roma pontificia addirittura il diritto canonico prevedeva che i pulitori delle latrine non potessero diventare chierici. E nei secoli successivi, fino a circa il Settecento, il lavoro dello spazzatore di marciapiedi e selciato era talmente screditato che nemmeno i "morti di fame" lo accettavano volentieri, quando a Roma in certi periodi c'era penuria «dé monnezzari» venivano impiegati i condannati all'ergastolo.
Nell'antica Roma l'imperatore Vespasiano, noto ai più per le latrine a cielo aperto iniziò la sua ascesa al trono lavorando come controllore della raccolta dei rifiuti che, bisogna constatare, nella Roma antica era ben assai all'avanguardia. La storia racconta che il fondatore della dinastia Flavia, prima di diventare imperatore, fu l'incaricato ufficiale della pulizia pubblica. Una fissa, quella dell'igiene, che i romani avevano quasi quanto la passione per la corsa delle bighe o le lotte tra gladiatori, e che già dall'epoca repubblicana aveva portato alla costruzione della Cloaca Maxima, la più antica fognatura della storia, ancor oggi in funzione.
Eppure, anche allora, già c'era chi faceva il furbo, svuotando nottetempo gli orinali in mezzo alla strada, di nascosto. A nulla valevano le multe salate e in certi casi estremi neppure la galera: certe cattive abitudini non hanno epoche, nè età.
Trascorsero i secoli e i romani hanno gradualmente apprezzato sempre più la figura e il ruolo degli spazzini e sono tanti, quelli di una certa età, che ne rimpiangono la loro presenza nelle strade. Quando Roma era una città più pulità.
N.U. Nettezza Urbana
di Michelangelo Antonioni - documentario del 1948
La giornata degli spazzini, persone che devono tener pulita Roma è l'occasione con cui Michelangelo Antonioni racconta con malinconia una Roma dove convivevano le persone, le vite e gli atteggiamenti più diversi, La forza delle immagini è tale che il commento della voce fuori campo, tipica dei documentari dell'epoca, scompare dopo pochissimo tempo. Della città eterna ad Antonioni non interessarono tanto le bellezze secolari quanto le povere vite, e un barbone accartocciato sui giornali sembrò che fosse per la sua cinepresa più interessante della storica scalinata di Trinità dei Monti. Uno sguardo all'epoca assolutamente anticonvenzionale sia per gli argomenti trattati sia per il modo in cui sono narrati. .