C'ERANO UNA VOLTA A ROMA GLI ZAMPOGNARI di Claudio Di Giampasquale
Il santo del 25 novembre è Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto, nata nel terzo secolo dopo Cristo da stirpe nobile. Leggenda narra che fu una ragazza dotata di raro ingegno, grande bellezza e d'un fascino straordinario. Assidua frequentatrice della "Bibliotheca Alexandrina Antiqua" fondata dai Tolomei, fu istruita sin dall'infanzia nelle arti liberali.
Santa Caterina d'Alessandria è un dipinto a olio su tela realizzato nel 1599 dal Caravaggio. È conservato nel Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid
Il Monastero di Santa Caterina in Egitto, nella regione del Sinai, alle pendici del monte Horeb dove, secondo la tradizione, Mosè avrebbe parlato con Dio
Si narra poi che da giovanissima ebbe in sogno la visione della Madonna col Bambino che le infilava l'anello al dito proclamandola "sponsa Christi" e fu così che divenne una fervida credente del «Verbo del Salvatore». Sentì immediatamente forte il desiderio e il bisogno di farsi battezzare, e dedicò la sua esistenza, nell'antichissima città fondata da Alessandro Magno, alla carità e alla diffusione della sua nuova fede. Crebbe così in tutto l'Impero romano la fama della benevolenza e del sapere della bellissima ragazza alessandrina, fino a giungere alle orecchie dell’imperatore Massimino, uomo tristemente celebre per la sua ferocia e il suo odio verso i cristiani. Nelle opere "Leggenda Aurea" di Jacopo da Varagine e "Vita di Santa Caterina" di Pietro Aretino, gli scrittori narrarono che un giorno, l'imperatore giunto ad Alessandria tenne grandi festeggiamenti in proprio onore. Caterina, fu invitata dal primo uomo dell'impero sia per curiosità, sia in quanto figlia di uno degli uomini più influenti della città d'Egitto. La ragazza si presentò a palazzo nel bel mezzo dei festeggiamenti, nel corso dei quali si celebravano riti pagani con sacrifici d'animali. Giunta al cospetto dell'"Augustus" per la presentazione di rito, Massimino rimase d’emblée folgorato dalla bellezza di Caterina, nonché dalla sua raffinatezza e il colto modo di dialogare; insomma dal suo irresistibile fascino; unico grande problema era che fosse cristiana. Dopo la festa convocò un gruppo di esperti "maestri d'eloquenza" (rètori) affinché la convincessero a onorare gli dei di Roma e la chiese in sposa. Ma i rètori incaricati non solo non riuscirono a convertirla, ma essi stessi, per l'eloquenza di Caterina, furono convertiti al cristianesimo. Il crudele e cinico imperatore ordinò la condanna a morte dei rètori e dopo l'ennesimo rifiuto di Caterina la condannò a morire col supplizio della ruota dentata. Nella sua narrazione, Pietro Aretino racconta poi, dopo che Caterina venne messa sulla ruota dentata, il cielo prima limpido, si riempì di nuvoloni neri e piombò giù un fulmine che spacco a metà la macchina di morte. Massimino fu obbligato a far decapitare la santa, dal cui collo mozzato non sgorgò sangue bensì latte, simbolo della sua purezza. Nella leggenda il suo corpo e la testa furono imbalsamati e trasportati dagli angeli e tumulato dove Dio si manifestò a Mosè, ai piedi del Monte Sinai. Circa due secoli dopo, proprio lì l'imperatore Giustiniano farà erigere il monastero dedicato alla martire venerata come santa sia dalla Chiesa cattolica romana che da quella Ortodossa di Costantinopoli, le quali l'onoreranno universalmente il 25 novembre col titolo di «grande martire».
Ma cosa c'entra Santa Caterina d'Alessandria coi zampognari che nel periodo delle festività di fine anno venivano a Roma?
la magia della nenia stridula delle zampogne
Ebbene, c'era una volta a Roma la tradizione del «giorno di Santa Caterina» appunto il giorno venticinque del mese di novembre, che segnava tradizionalmente l'arrivo degli zampognari e dei ciaramellari dalle montagne abruzzesi e ciociarie, un evento che annunciava nella città eterna il Natale, portando musica nelle piazze, nelle vie, nei vicoli del centro e nelle case, col suono dei caratteristici strumenti rurali. In particolar modo sotto le edicole sacre dalla Madonna col bambino simbolo della religiosità popolare. Le più antiche esibizioni dei zampognari che si ricordino furono le cosidette "novene" che nella storica tradizione duravano appunto nove giorni. Erano eventi richiesti, che si svolgevano per le strade, in casa o sotto le edicole religiose chiamate «madonnelle»” con immagini dipinte ad affresco o su tela racchiuse in cornici e baldacchini, a volte scolpite in marmo. Nelle soste speciali delle novene nei popolari e generosi rioni di Roma, pregni d'umanità, gli umili «burini» venivano rifocillati con cibo nel tradizionale gesto di ringraziamento popolare detto «er cartoccio dé la padrona»; eppoi venivano anche ricompensati in denaro, nei limiti delle possibilità. Alcune madonnelle erano anche situate dentro cortili e androni. Eppoi i caratteristici musicanti di zampogne e ciaramelle riprendevano il loro cammino sonante, alcuni rimanevano in città esibendosi per tutto il periodo delle festività sino al giorno dell'«epifania ...che tutte le feste se porta via».
Gli zampognari avevano l'aspetto di briganti d'altri tempi ma in realtà erano pastori desiderosi di guadagnar qualcosa nel periodo per loro più difficile dell'anno. Riempivano l'aria con la loro melodia che era "caposaldo sonante" del periodo dell'anno più amato. Emblema d'una Roma magicamente addobbata nella religiosa attesa della nuova nascita di Gesù. Quella che dal giorno di Santa Caterina di un mese addietro, fino alla notte di Natale, generava come per incanto nel centro della città eterna un'atmosfera magica sontuosa di meravigliosi addobbi, pregna di luci, ricca di gioia vissuta con felicità da tutti i bimbi e forse vista da non pochi adulti "con gli occhi di bambini".
Tutto ciò oggi è quasi del tutto scomparso "cedendo il passo al progresso" con una differente e meno sacra genuinità d'attesa, gioia, semplicità e luminoso incanto negli occhi dei bambini nel ricevere i tanto attesi regali nella notte di Natale e nella mattina dell'Epifania. Questo terzo millennio ha portato con sè, nell'arco dello stesso periodo, troppa opulenza, troppa indifferenza per la magia di quel che rimane della tradizione. Troppo stress consumistico, una diversa gioia, troppo traffico nel periodo culminante che precede le festività più sentite in una città sempre più soffocata da automobili e non solo, molta più disuguaglianza, intolleranza e purtroppo un grande divario "tra chi può" è "chi non può". Ebbene, in questa nuova era dominata dalla tecnologia, le stridule note della tradizione dei zampognari mancano nel centro di una Roma che purtroppo non è più la stessa di una volta.
zampogne e ciaramelle: il suono del vento
La figura di questi caratteristici musicanti natalizi deriva dai pastori che, durante la transumanza, suonavano i loro strumenti per intrattenersi e comunicare con le genti dei luoghi dove transitavano coi loro greggi. Il tipico abbigliamento che sfoggiavano era caratterizzato da pantaloni che arrivavano al ginocchio, cinturone di pelle di pecora o di capra, alti calzari e stivali o cioce a coprire e proteggere il resto della gamba e i piedi, giacca di lana o di fustagno, pelliccione di pecora, ampio mantello, copricapo in feltro o lana solitamente a forma di calotta morbida con una piccola falda rialzata. Un'ampia sacca a tracolla che conteneva i pochi averi e ovviamente i loro preziosi strumenti: «zampogna» o «ciaramella».
La zampogna è uno strumento a fiato che si compone di un otre di pelle, solitamente di capra o pecora che funge da serbatoio d'aria. Da quest'otre, attraverso un ceppo chiamato "testale" s'innestano quattro o più "pive" di legno (canne), due melodiche per produrre la musica e due o più che fungono da "bordoni" ossia che emettono note fisse in suono grave e continuo a mó d'accompagnamento costante, creando una carattristica base armonica di sottofondo. Il suono viene prodotto quando l'aria viene immessa nell'otre tramite un cannello e, sotto la pressione del braccio dello zampognaro, viene spinta attraverso le canne.
«Come er cacio sù li maccheroni»
gli «zampognari» arrivavano a Roma in coppia coi «ciaramellari» suonatori d'un piccolo strumento sempre a fiato, una specie di piffero simile a un "oboe primitivo" fatto di legno che "fa pendant" con la zampogna.
ECCO NEL DETTAGLIO LE COMPONENTI DI UNA ZAMPOGNA
Otre
(o sacca): È il serbatoio d'aria dello strumento. Tradizionalmente realizzato con una pelle intera di capra o pecora, conciata e con il pelo rivolto all'interno. Nelle zampogne moderne, vengono talvolta utilizzate anche camere d'aria di pneumatici rivestite in finto vello.
Imboccatura
(o soffietto): Un piccolo tubo inserito nell'otre attraverso il quale lo zampognaro immette l'aria soffiando con la bocca. In alcune varianti, l'aria viene immessa tramite un soffietto azionato con il braccio.
Canne (o pive): Sono i tubi sonori inseriti nell'otre tramite un "ceppo" di legno. Le zampogne italiane hanno tipicamente due canne melodiche, una per la mano destra e una per la sinistra, a differenza della cornamusa che ne ha solo una.
Canne melodiche (tibiae): Sono le canne su cui si digitano le note attraverso specifici fori. Possono essere di lunghezza uguale ("a paro") o disuguale.
Bordoni: Sono canne che emettono una nota fissa e continua (nota pedale) per accompagnare la melodia. Il loro numero e la loro disposizione variano a seconda del tipo di zampogna (possono essere due, tre o anche quattro).
Ance: All'interno di ciascuna canna sono posizionate delle ance, che possono essere singole o doppie, responsabili della produzione del suono quando attraversate dall'aria immagazzinata nell'otre.
Materiali: Le canne sono solitamente realizzate in legni robusti e pregiati come il bosso, l'olivo o il gelso nero, mentre le ance sono spesso in canna comune o, in passato, in corno.
ECCO NEL DETTAGLIO LE COMPONENTI DI UNA ciaramella
Corpo: Un tubo di legno (canna) con una forma conica e una campana svasata.
Fori: Ha fori per le dita (solitamente 8 o 9, a seconda della zona), che il musicista tappa per cambiare le note, creando la melodia.
Ancia doppia: Il cuore dello strumento, fatta di canna "arundo donax" che vibra con il soffio e produce un suono forte e nasale.
Cannello: Un tubicino su cui si monta l'ancia, a volte separato, a volte parte integrante.
Tonalità: prevalentemente in tonalità di Sol (ma esistono varianti regionali)













