ER MEJO SINDACO CHE ROMA ABBIA MAI AVUTO di Claudio Di Giampasquale
Spesso, figure di grande impatto non lasciano un’eredità visibile o un esempio diretto che venga seguito poi da chi ne prende il posto: nella vita, nella società e nei cuori. Nel caso della politica e dell'amministrazione pubblica magari perché le loro azioni sono state determinate prevalentemente dall'umano carattere oppure perché il contesto politico e sociale cambia nel susseguirsi degli anni. Inoltre, può succedere che tali persone che fanno davvero la differenza non siano abbastanza propagandate o ricordate sui libri di storia, probabilmente perché non hanno voluto lasciare di sè molte tracce mediatiche o immagini. Oppure perché le loro innovazioni sono state troppo all'avanguardia o controcorrente rispetto alle consuetudini dell’epoca in cui sono vissuti ed hanno svolto il loro compito. Ad esempio, perché la verità dei fatti e delle azione compiute da Ernesto Nathan colui che è stato senza dubbio considerato come “il miglior primo cittadino che Roma abbia mai avuto” è quasi sconosciuta? Perché nessuno dei sindaci successivi lo ha preso come modello? Potrebbe essere per via del peso delle sue scelte e per il suo difficilmente replicabile stile di amministrazione, oppure perché, nei decenni successivi, le priorità e le sfide della capitale sono cambiate, rendendo sempre più difficile seguire il suo esempio...

Il sindaco Nathan governò la città eterna tra il 1870 e il 1907. In quegli anni, l'urbe era divisa tra due poteri principali: da un lato, l’autorità della Chiesa con il Vaticano e il suo influsso e dall’altro il governo italiano che stava cercando di consolidare il suo controllo sulla nuova capitale del Regno d'Italia. Durante il periodo in cui fu proclamata tale, i sindaci di Roma precedenti a lui furono per lo più appartenenti alla nobiltà romana e s'avvicendarono rapidamente, spesso concentrati più che altro a proteggere gli interessi della loro classe e degli affaristi, sia locali che stranieri. Questo clima politico e sociale portò a una gestione della città più interessata agli affari e alle questioni di potere, piuttosto che al miglioramento del benessere dei cittadini, e soprattutto a un vero e proprio sviluppo urbano di una città vissuta nel buio per secoli dopo gli antichi splendori dell'epoca dei Cesari.
Subito dopo la proclamazione a capitale e nei decenni successivi Roma visse un vero e proprio boom demografico raddoppiando il numero dei suoi abitanti in circa trent’anni. Questo rapido aumento della popolazione creò un grande bisogno di tutto: infrastrutture, servizi, abitazioni e opportunità. Gli affaristi dell’epoca erano ben consapevoli di questa situazione, cercando di sfruttarla a loro vantaggio. Era il tramonto del diciannovesimo secolo e l'alba del nuovo: il Novecento.
le origini
Facciamo un salto oltremanica di circa mezzo secolo dall'elezione di Nathan a sindaco di Roma. In un colorato autunno londinese, nel quartiere South Kensington a ovest della City era domenica 5 ottobre 1945 quando il piccolo Ernesto venne al mondo. Era il quinto figlio della ventiseienne pesarese Sara e dell'agente di borsa Moses Nathan di vent'anni più grande di lei. I due si conobbero a Livorno nel 1836, mamma Sara all'epoca aveva appena diciassette anni, era emigrata nella città toscana ancora bimbetta dopo la scomparsa di sua madre, suo padre era commerciante nel "ghetto grande" di Pesaro e non aveva tempo e aiuti di fiducia per badare ai figli. Sarina fu quindi mandata a vivere a casa della zia nel capoluogo livornese. Quando poco più che adolescente incontrò il ricco Moses ci fu tra i due un colpo di fulmine, si sposarono in una settimana e la giovane seguì suo marito in Inghilterra. Dal matrimonio nacquero dodici figli. Ventitre anni dopo, l'esistenza quotidiana di Sara Levi e del suo nucleo familiare cambiò improvvisamente, quando nell'estate del 1859 Moses Nathan morì a causa di un'intervento chirurgico andato male. Il ricco finanziere lasciò la moglie erede universale del suo patrimonio. Divenuta unica capofamiglia decise di tornare in Italia alla ricerca di un clima più adatto alla salute e alla crescita dei figli. Soggiornarono a Roma, a Pisa, a Firenze, a Milano accolti ovunque con grande ospitalità e amicizia dai tanti italiani che aveva conosciuto a Londra, alcuni dei quali erano personaggi risorgimentali di spicco che Sara e suo marito avevano frequentato nei vari ricevimenti che erano soliti dare. Nella loro grande villa avevano inoltre frequentemente ospitato Maurizio Quadrio, Carlo Cattaneo, Jessie White Mario, Giuseppe Garibaldi, ma soprattutto erano molto amici di Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi che soggiornarono non poco tempo nella loro dimora nel South Kensington. Sara fu una fervente mazziniana e si spese in azioni di sostegno finanziario per la causa risorgimentale, oltre che in missioni diplomatiche e di raccordo tra le varie organizzazioni del movimento insurrezionale. Alcuni studiosi sono concordi nell'ammettere che nella capitale britannica quand'era poco più che ventenne abbia avuto con il rivoluzionario genovese una relazione amorosa e qualche malalingua sostenne anche che Ernesto fosse figlio naturale di Mazzini, un'ipotesi che tuttavia gode di scarso credito. In ogni modo certo è che Sara tornata nella sua nazione dedicò non poche energie alla diffusione del pensiero mazziniano in tutti i suoi aspetti. Acquistò tutti i manoscritti reperibili del fondatore della Giovine Italia, nonché tutti i suoi diritti d'autore, dedicandosi poi alla ricerca e alla raccolta delle sue lettere e documenti.
Ma torniamo ad Ernesto anch'egli tornato coi suoi fratelli e la mamma nelle penisola italica. Visse l'adolescenza e la prima giovinezza tra Firenze, Lugano, Milano e la Sardegna, dove ebbe un'esperienza di amministrare di un cotonificio. L'influenza di Mazzini ed Aurelio Saffi incisero fortemente nella sua formazione intellettuale nonché sull'orientamento culturale e politico.
Domenica 16 giugno 1867 Ernesto sposò la ventunenne Virginia attivista del
Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Sebbene giovane era divenuto un uomo “tutto d’un pezzo”, come si direbbe oggi, per nulla incline al compromesso, soprattutto verso i suoi valori, con una forza di carattere e coerenza in relazione ai propri principi, distinguendosi nettamente dagli altri, evidenziando la sua diversità e l’estraneità del suo pensiero rispetto alle idee dominanti dell’epoca. Una filosofia di vita che mantenne ininterrottamente, basti pensare che quando fu sindaco di Roma divenne famosa la sua battaglia per dirottare i fondi destinati a un monumento a Mazzini, il suo "vate", per destinarli a uno scopo più urgente per la città eterna: creò con quelle risorse un istituto popolare con scuole serali, biblioteche e sale di lettura, dimostrò così per primo il suo impegno di sindaco per l’educazione delle nuove generazioni e il progresso sociale nei rioni e quartieri nascenti.
Ma torniamo alla sua giovinezza, Ernesto Nathn giunse a Roma nel 1870 a venticinque anni per lavorare come direttore editoriale al giornale mazziniano
“La Roma del Popolo”
e tale incarico inevitabilmente lo condusse a dedicarsi anche alla politica, con impronta convintamente laica e anticlericale. Nove anni dopo aderì al partito dell'estrema sinistra storica nello schieramento di Felice Cavallotti. Ebraismo, mazzinianesimo e massoneria, furono le tre nobili componenti intellettuali che interagirono nella sua formazione e nel suo impegno politico. Promuovere l’educazione per l’emancipazione dell’individuo era un dovere, perché si potesse accedere, soprattutto per chi ne era maggiormente escluso, come appunto le donne, per le quali Nathan volle la parità di diritti: fatto straordinario all'epoca in tempi in cui l’unico diritto pubblicamente riconosciuto alle donne era quello di stare zitte e di fare figli.
Ernesto aveva trentasette anni ed era a lavoro nella redazione del giornale quando sua mamma morì nella casa londinese. Fu per lui uno shock. Corse in Inghilterra per organizzare il suo funerale e per la formalizzazione della ripartizione con i fratelli dell'eredità. Le carte di Mazzini e l'onere della loro pubblicazione, in mano a Sara Levi Nathan negli anni precedenti, passarono a lui ed Ernesto ebbe il compito di raccoglierne a tutti gli effetti l'eredità politica. Nathan proseguì le battaglie in cui s'era impegnata la madre negli ultimi anni di vita. Sei anni dopo ottenne la cittadinanza italiana onoraria dalla città natale di sua mamma Pesaro, dove ricoprì la carica di consigliere provinciale dall'anno successivo sino al 1895.
Ernesto Nathan e sua moglie Virginia Mieli in età avanzata. Si sposarono poco più che ventenni il 16 giugno 1867. Virginia, nacque a Siena e venne a Roma per lavorare nel giornale mazziniano “La Roma del Popolo” dove conobbe Ernesto e se ne innamorò. Anche lei si dedicò alla politica, con impronta convintamente laica e anticlericale.
l'incontro con la massoneria
La consapevolezza di migliorare se stessi e la società si rafforzò nell'animo di Ernesto grazie all’incontro con la massoneria, un’istituzione che all'epoca contribuì a diffondere grandi ideali come “libertà”, “uguaglianza” e “fratellanza”. Questi valori furono alla base delle rivoluzioni americana e francese, e nel diciannovesimo secolo continuavano a ispirare il desiderio di creare nazioni sempre più libere, democratiche e giuste socialmente. L’adesione a questi ideali rappresentò un passo importante per chi, come Nathan, voleva contribuire a un cambiamento profondo e positivo nella società.
La massoneria dunque rappresentava allora il naturale punto di riferimento progressista del Risorgimento, soprattutto a Roma contro i potentati ancora dominanti ancorati ai ricordi del potere pontificio non più politico. Pertanto, la Chiesa cattolica, quando fece i conti con l’irreversibile perdita del suo potere temporale, additò la massoneria come la responsabile massima della sua crisi, dichiarandosi vittima delle trame giudaico-massoniche, che affermavanono le “aberranti” idee del socialismo e propugnavano la libertà di pensiero contro i dogmi cattolici. Fu particolarmente «Civiltà Cattolica» la rivista dei Gesuiti a gridare al complotto definendo la massoneria: “Sinagoga di Satana”. Ernesto era ebreo, e come liberale non gradiva il modo di raccontare così faziosamente la realtà e di conseguenza il predicare della Chiesa secondo lui distorto e fazioso a favore degli interessi dei potenti. L’incontro con la massoneria fu per lui la sintesi di quell’educazione alla fratellanza universale, appresa nell’insegnamento mazziniano.
Fu "iniziato" al sodalizio nel 1887 e dopo sei anni venne affiliato "maestro" presso la loggia
"Propaganda massonica" aderente al
Grande Oriente Italia.
Divenne "grande maestro" nel 1896 e sei dopo aver terminato l'incarico di sindaco di Roma fu insignito dell' ultimo grado del
"Rito scozzese antico", divenne così membro effettivo del
Supremo Consiglio d'Italia.
Nel giorno del "Natale di Roma" del 1901 nel suo discorso all'inaugurazione di palazzo Giustiniani disse: «La massoneria vive e fiorisce per essersi di volta in volta tuffata nell’acqua lustrale del progresso, assimilando ogni nuova fase di civiltà, il più delle volte divenendone banditrice. Siamo noi, che in nome di quel principio di fratellanza, abbiamo iniziato, spinto innanzi il movimento per la pace e l’arbitrato. Siamo il germe dei vagheggiati Stati Uniti d’Europa».

Nel 1887, quando entrò nella Massoneria, Ernesto Nathan aveva già 42 anni: lo battezzò Adriano Lemmi, che lo fece aderire alla loggia di “Propaganda massonica”, definita come riservata ai notabili del mondo profano. La massoneria si batteva all’epoca per ideali di pace, di libertà e di educazione scolastica e popolare: tutte mete con le quali Nathan era in perfetta sintonia, per le quali si era sempre duramente impegnato anche durante il suo percorso all’interno della Pubblica Amministrazione
sindaco di roma
Ernesto Nathan fu sindaco di Roma dal 1907 al 1913. L’«Unione liberale popolare» il famoso "blocco" formato da radicali, repubblicani e socialisti lo scelse e lo candidò, venne eletto. I cattolici non parteciparono alla competizione elettorale, perché il
“non expedit” del papa vietò loro l’accesso alle cariche istituzionali nel giovane Regno d'Italia che aveva decretato la fine del potere temporale della Chiesa romana.
La sua amministrazione fu improntata a un forte senso dell'etica pubblica. Ebbe come baricentro principalmente due questioni: lo sforzo di governare la gigantesca speculazione edilizia che s'era avviata con il trasferimento della capitale a Roma, e un vasto piano d'istruzione per l'infanzia e il sostegno alla formazione professionale, pensati e realizzati in chiave assolutamente laica. Nathan era infatti motivato dalla forte convinzione dell'importanza della laicità delle istituzioni pubbliche, e di un apparato educativo laico, in un periodo storico nel quale a Roma il sistema scolastico era in mano alle strutture cattoliche.
Il nuovo sindaco ebreo, fece tremare il mondo affaristico clerico-nobiliare, che lucrava grazie all’intreccio tra capitale finanziario e patrimonio fondiario, nell’immobilismo di una Roma in cui le masse popolari erano tenute nell’alfabetismo e nella miseria.
Nel suo discorso all'atto d'insediamento nella carica di sindaco, che Nathan tenne in Campidoglio la mattina di lunedi 2 dicembre 1907, proclamò:
«Guardiamo all’avvenire, a una grande metropoli ove scienza e coscienza indirizzino rinnovate attività artistiche, industriali, commerciali, perché guardiamo attraverso la breccia di Porta Pia».
Gli organi di stampa fortemente legati alla tradizione cattolica disapprovarono subito dopo quel discorsso "lanciando anatemi" del tipo: «È il primo sindaco non romano dopo trentasette anni, quanti ne sono corsi dal 1870, anzi nemmeno italiano, perchè di origine inglese, nativo di Londra. In ogni caso repubblicano, israelita e massone. La sua presenza a capo del comune romano è misura del livello a cui siamo discesi».
In sostanza, sin da subito, Nathan volle rappresentare attraverso la simbolica icona della breccia di Porta Pia, come il crollo del muro del totalitarismo teocratico cattolico rappresentasse non solo una vittoria politica, ma anche un passo fondamentale verso lo sviluppo scientifico, economico e sociale di Roma, dei romani e dell’umanità intera. Nonché la separazione tra Chiesa e Stato come un elemento essenziale per favorire la libertà di pensiero, l’innovazione e il progresso civile.
Il resto è storia, cioè storia di una Roma che s'avviava accompagnata da questo "gigante" verso una lenta, progressiva e sofferta modernità, in un nascente ventesimo secolo che sarebbe stato di luci ma anche di ombre e di buio.
Il sindaco londinese fece tanto per la città eterna e per i romani: la scuola, i servizi pubblici, la salute, la casa e l'urbanizzazione.
Mi sono "limitato" semplicemente a scrivere chi fosse, da dov'è venuto, del suo carattere e degli ideali. Benchè assai nutrito di informazioni, questo pezzo non entra nello specifico delle azioni e delle decisioni che questo "precursore dei tempi" prese nella sua vita: sia relative alla sua carriera prima che diventasse primo cittadino della capitale, che soprattutto, pertinenti ai tantissimi provvedimenti concreti a favore della capitale attuati durante i sei anni di mandato. Certamente l'antesignana liberale e democratica indole ereditata da mamma Sarina lo guidò coraggiosamente fino all'ultimo: basti considerare che al crepuscolo della sua esistenza divenne anche tra i più anziani ufficiali ad aver prestato servizio nell'esercito italiano, con il grado di tenente s'arruolò volontario nel 1915 a settant'anni e partecipò attivamente alla cruenta battaglia sulla cima del Col di Lana per difendere il territorio italiano contro l'avanzata degli austriaci.
Giovedi 9 aprile 1921, diciotto mesi prima della "marcia su Roma" Ernesto abbandonò il temerario spettacolo della propria vita. Uscì di scena nella sua casa sul colle Viminale in via Torino. Neanche a farlo apposta il sipario si chiuse proprio lì accanto al Teatro dell'Opera della sua amata città.
Per conoscere nel dettaglio tutte le azioni e le opere del grande "sindaco londinese" e nel dettaglio come abbia cambiato in meglio la città eterna e la vita dei romani, nonchè sfatato la visione di "Roma città ingovernabile" consiglio di leggere l'opera letterria "Ernesto Nathan. L'inventore di Roma capitale" è un ottimo libro di facile lettura a cura di Emanuele Zammit , Luca Guazzati pubblicato da Tipheret nella collana Gimel: