LA DEDICA DEL PRINCIPE AL MAESTRO di Claudio Di Giampasquale

Dieci anni dopo la tragica morte di Pier Paolo Pasolini, il "Principe Francesco" cantautore romano sospeso tra il sogno e la realtà, pubblicò il suo nono album intitolato "Scacchi e Tarocchi" nel quale vi è una bellissima ballata dedicata al triste epilogo della vita di Pier Paolo Pasolini: poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, attore e drammaturgo italiano.
La intitolò 
«A PÀ» a mo' di affettuosa elisione del cognome, come si fa qui a Roma quando ci si rivolge appunto solo per cognome a un compagno di classe e lui evidentemente era solito farlo con i suoi compagni di scuola al liceo Virgilio in via Giulia.
La canzone è intrisa di carica poetica come lo sono gran parte delle opere di De Gregori: quasi tutte simili a "iceberg galleggianti nel mare" (molto più grandi sott'acqua di ciò che appare in superficie) perchè celano "tra le righe" delle loro strofe fatte di parole dolci, gentili, pacate e poetiche (sogno) un significato intellettuale, sociale e spesso politico (realtà) molto profondo e doloroso della semplice apparente struttura narrativa.

Questa canzone in particolare narra gli ultimi momenti di vita del Maestro. L’aspetto più sconvolgente di questo brano, fatto di appena tre strofe di quattro versi ognuna, sta forse nel fatto che non sembra si stia descrivendo la morte di un uomo. Se non si sapesse che la canzone è dedicata a Pasolini, chiunque potrebbe ascoltarla credendo racconti i sentimenti di un ragazzo romano che se ne va di casa e che saluta il suo papà.

Ma Francesco De Gregori è da sempre un genio nella stesura dei suoi brani fatti di passaggi ermetici e inafferrabili e spesso si dà per assodata una "semplice comprensibilità" quando lo si ascolta.
Il testo di
«A Pà» non è molto ampio, sembra una vera e propria poesia, parte con un duetto delicatissimo di piano e chitarra poi dolcemente inizia la canzone, narrativamente siamo già oltre il bel mezzo dell’azione, con l’uomo a terra, stordito, forse già morente. Il racconto è tutto in prima persona come se fosse lo stesso Pasolini a narrarlo anzi a cantarlo, intervallato dal confidente richiamo: «A Pà» inizia con la strofa: «Non mi ricordo se c’era la luna e né che occhi aveva il ragazzo, ma mi ricordo quel sapore in gola e l’odore del mare come uno schiaffo» A Pà ‎«E c’era Roma così lontana, e c’era Roma così vicina, e c’era quella luce che ti chiama come una stella mattutina» evidentemente qui fa riferimento all’omicidio avvenuto in un'oscura località vicina al mare a oltre quaranta chilometri dal centro di Roma (l'Idroscalo di Ostia) da parte di quel ragazzo di cui non ricorda più che occhi avesse, ma forse tra le righe della semplicità delle parole De Gregori fa intendere che non ricorda quegli occhi perchè quel ragazzo lì non era il solo a massacrarlo e che nel commovente vero significato di questa strofa si accenni al sapore della morte acuito dall'odore del mare. Proseguendo la narrazione sembra tornare a vedere la scena a terra per poi ascendere verso una "luce" forte e brillante: A Pa’ tutto  passa, il resto va ‎«E voglio vivere come i gigli nei campi, come gli uccelli del cielo cantare, e voglio vivere come i gigli dei campi e sopra i gigli dei campi volare» In queste parole Francesco cita una poesia del Maestro (nell'ambito dell'opera Transumanar e organizzar) sulla liberazione dell'essere umano dalla schiavitù del possesso e del potere di cui Gesù s'è fatto portatore, e che Pier Paolo Pasolini aveva così efficacemente e così umanamente rappresentato in un suo meraviglioso film «Il Vangelo secondo Matteo» del 1964 che il grande regista Martin Scorsese ha definito: «Il miglior film su Cristo».

Ascolta una versione dal vivo della canzone «A Pà» interpretata da Francesco De Gregori insieme a Lucio Dalla

C’è questa bellissima frase di Pier Paolo Pasolini incisa su una lapide di travertino vicina al monumento eretto a commemorarne la morte. È una breve definizione della poesia «Una disperata vitalità» (ci sono lì altre sette lapidi con altrettante suggestive frasi). Il monumento-scultura è opera di Mario Rosati fu collocato all’Idroscalo di Ostia nell'esatto punto dove Pasolini venne trucidato.
Il percorso del memoriale si apre con un cippo in travertino su cui è riportata la dedica del parco alla memoria del Maestro, all’ingresso partono due vie pavimentate con blocchetti di tufo, la prima ha un andamento curvo con ai lati otto basamenti in pietra di tufo, su ognuno dei quali è collocata una delle suddette lapidi. Il secondo percorso ha un andamento più sinuoso rispetto al primo e ai suoi lati sono istallati a terra cinque aperture coperte da una lastra trasparente, sulla cui superficie è trascritta una serie di titoli delle opere più importanti realizzate. Intorno alla scultura sono collocate panchine in legno e ghisa. Il resto del terreno è sistemato a prato a mo' di duna mediterranea. Questo "parco letterario" nella notte tra il 30 e il 31 marzo del 2016 fu vigliaccamente devastato e danneggiato da ignobili teppisti. Gli interventi di restauro da parte del Comune di Roma furono immediati e pochi mesi dopo il 2 novembre 2017, giorno della commemorazione della morte di Pasolini, fu riaperto. Da allora ogni giorno dalla mattina al tramonto, con accesso diretto da via dell’Idroscalo, vengono promossi numerosi eventi letterari e artistici, di valorizzazione del territorio, conferenze, visite guidate e attività di book-crossing. I volontari della LIPU curano la pulizia dell’area, assicurando a migliaia di persone provenienti da tutto il mondo di ricordare Pier Paolo Pasolini.

«Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l'erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile».

Queste parole di Pier Paolo Pasolini sono scritte nel libro “Il cinema in forma di poesia”.


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