FRANCESCO DE GREGORI: PER LE STRADE DI ROMA di Claudio Di Giampasquale

Francesco De Gregori non è mai stato superstizioso, lo dimostra il fatto che per la pubblicazione del diciassettesimo album «Calypsos» ha scelto la data di venerdi 17, era febbraio del 2006, Francesco aveva cinquantacinque anni ed era all'apice della sua carriera. Dal 1972 anno dell'album d'esordio «Theorius Campus» rilasciato insieme al suo amico Antonello Venditti, quando aveva ventuno anni, "ne era passata di acqua sotto i ponti" e di meravigliose note e parole delle sue composizioni negli impianti stereo degli italiani sempre più digitali ed evoluti. La creatività del "principe" aveva sfornato un numero incredibile di capolavori e tanti ne avrebbe pubblicati negli anni a venire. I successi di De Gregori sono divenuti oggi pietre miliari della canzone italiana d'autore, vere e proprie poesie in musica da studiare sui banchi di scuola.
«Le canzoni appartengono a tutti, anche a chi le ha scritte», disse una volta il "principe" «Come fiori rari, alcune però appartengono forse di più a chi le ha sapute trovare» Ebbene, all'interno dell'album «Calypsos» di quell'anno ce n'è una non troppo conosciuta ai più, che è tra le più amate dal cantautore e, francamente è uno dei brani che anch'io preferisco di più in assoluto, è la settima traccia si intitola «Per le strade di Roma» cinque minuti e quarantatre secondi di pura poesia che raccontano "mascherate dalla solita eleganza e dolcezza del "principe" i molteplici volti della città eterna, dei romani e di chi l'ha scelta per viverci. Gli immigrati, la malavita le prostitute di via Salaria e le escort di via Frattina, case occupate, la Roma bene, la Roma di borgata, gente che se la tira, i giovani che sognano il futuro, eccetera. Francesco De Gregori è riuscito a mettere in pochi minuti di magia in musica tutta l'essenza di questa città. Un capolavoro, ogni volta che l'ascolto mi tocca l'anima, è realismo in musica. Per ciò ho deciso di raccontarla qui. 
«Per le strade di Roma» è terrena, è carnale. Ricorda un film di Fellini, pensi alla scena di Amarcord in cui tutto sembra dissolversi nella nebbia, ma poi muta e ha l'impatto di uno schiaffo dato a tradimento, in un'alba sonnolenta. De Gregori la definisce la sua
“prima canzone decisamente campanilista sulla capitale” ma a un non romano provoca invece qualche brivido. L'inizio è pulsante come in onda di un sogno e nello stesso tempo di un armonico incubo, in un doppio gioco che associa “uomini” ad “animali” e poi una città dove «tutto si consuma e tutto si combina» ...per le strade di Roma