GLI EROI DI PIAZZA NICOSIA di Claudio Di Giampasquale

Il 3 maggio 1979 persero la vita durante un attentato delle Brigate Rosse alla sede regionale della Democrazia Cristiana in piazza Nicosia, gli agenti Antonio Mea e Pietro Ollanu. Facevano parte del reparto Digos del commissariato Trevi Campo Marzio.

Antonio aveva trentaquattro anni, era entrato in Polizia a diciotto frequentando la Scuola Allievi di Nettuno, prestò servizio presso tale scuola e poi presso il "Reparto Mobile della Polizia di Stato" prima d'approdare alla "Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali" (Digos). Pietro invece era entrato otto anni prima del giorno in cui avrebbe incontrato la morte, dopo aver frequentato la "Scuola Allievi di Vicenza", prestò servizio presso il "Reparto Celere di Roma" e, successivamente nella Digos presso la questura vicina al luogo dell'eccidio.

Piazza Nicosia NEL RIONE CAMPO MARZIO, ex piazza del clementino

Tra via di Monte Brianzo e via della Scrofa, piazza Nicosia costituisce un esempio significativo degli sventramenti che a partire dal 1935 modificarono l’assetto urbanistico di parte del centro di Roma. Scomparve anche la casa all’angolo con via di Monte Brianzo, nella quale alloggiò Wolfgang Amadeus Mozart, fu qui che il compositore austriaco compose la sua tredicesima sinfonia. A piazza Nicosia si teneva periodicamente il "mercato del legname" per la vicinanza con lo scalo sul fiume. Prese il nome dal palazzo, non più esistente, edificato per volere del cardinale Aldobrandino Orsini, arcivescovo di Nicosia. Precedentemente si chiamava «piazza del Clementino» poichè vi sorgeva il Collegio Clementino fondato da papa Clemente VIII Aldobrandini con lo scopo di «educare la gioventù romana e straniera ai buoni costumi, allo studio delle belle lettere ed alle arti liberali». Questo collegio laico risiedette qui, di fronte alla "fontana del Trullo" di Giacomo della porta, fino al 1935, quando si trasferì nell’attuale sede di piazza Monte Grappa. E così il palazzo che ospitava il Collegio Clamentino fu demolito .

Il moderno palazzone in travertino costruito negli anni Trenta al posto del "Collegio Clementino" ospita oggi alcuni uffici istituzionali ed è caratterizzato dall'alto arco che dà accesso al lungotevere attraverso una salitella chiamata via dei Somaschi.
Ebbene, questo palazzone monumentale "stile littorio" edificato nel "ventennio",  negli scorsi anni settanta,  ospitò al civico 20 la sede regionale della
"Democrazia Cristiana", partito che ebbe un ruolo cardine nel secondo dopoguerra italiano e nel processo d'integrazione europea, sino al suo scioglimento nel 1994.

un breve cenno sullo scenario politico-sociale di quell'epoca

Quando successe il brutto fatto di piazza Nicosia, il primo cittadino della capitale era Giulio Carlo Argan primo sindaco non democristiano della capitale successivamente alla proclamazione della Repubblica.

L'ultimo anno del decennio Settanta dello scorso secolo, correva a Roma un'epoca difficilissima. La capitale in quegli anni fu colpita più volte dal terrorismo, da tensioni sociali e dalla pesante malavita della Banda della Magliana che fu la prima organizzazione criminale romana a unificare in senso operativo la frastagliata realtà della microcriminalità locale, costituita fino ad allora da piccoli gruppi detti "batterie" o "paranze" che dominavano la vita notturna, il traffico di droga e la prostituzione. La Banda della Magliana s'imposessò del "mercato criminale" romano, infilandosi nei gangli delle istituzioni pubbliche locali e nazionali. Si vociferava addirittura che avesse stretti rapporti di connivenza con alcuni alti prelati, funzionari della Santa Sede.

Argan, grazie al suo giovane "assessore alla cultura" l'architetto Renato Nicolini l'anno precedente aveva dato il via all'esperimento dell'«Estate romana», oggi divenuta una "istituzione prestigiosa" per la vita, per il turismo, per il tessuto sociiale ed economico della città. Allora, si ritenne fosse un azzardo. 

Erano gli "anni di piombo", da circa un decennio la cronaca raccontava episodi funesti caratterizzati da stragi, omicidi e attentati, mirati a delegittimare e destabilizzare il Paese, da parte sia dell'estremismo rivoluzionario di sinistra che della destra neo fascista. Un'anno prima avevano rapito e ucciso l'onorevole Aldo Moro tra i fondatori della Democrazia Cristiana e suo rappresentante nella Costituente, che ne divenne dapprima Segretario dal 1959 al 1964 e in seguito Presidente dall 1976.

L'Italia nel 1979 non aveva ancora superato lo shock per la fine così drammatica di Moro. Il terrorismo imperversava. All'inizio di quell'estate ci sarebbero state le elezioni amministrative nazionali contestualmente a quelle regionali (si sarebbero tenute il 15 e il 16 giugno). Proprio in quel periodo si stavano verificando eventi politici significativi sia in ambito legislativo che sociale. La principale novità era la nascita della riforma del diritto di famiglia, che avrebbe sancito la parità giuridica tra i coniugi, l'attribuzione della patria potestà ad entrambi, l'eliminazione della dote, l'abolizione della distinzione tra figli legittimi e naturali e l'introduzione della comunione dei beni. Inoltre, il Parlamento stava per approvare la "legge Reale", che avrebbe conferito poteri speciali alle forze di polizia per il mantenimento dell'ordine pubblico, inclusa la possibilità d'usare armi da fuoco e di effettuare perquisizioni senza autorizzazione del giudice in caso di sospetto possesso di armi.
Era un periodo caratterizzato da grandi proteste in piazza di diverse organizzazioni extraparlamentari di sinistra e di destra, Purtroppo in quell'ambito si formarono anche organizzazioni terroristiche di matrice politica, che divennero "cancri sociali" che per oltre quindici anni insanguinarono il nostro Paese. Le "Brigate Rosse" e "Prima Linea" a sinistra e i "Nuclei Armati Rivoluzionari" (NAR) e "Ordine Nuovo" a destra, furono le più efferrate.
Quella mattina di giovedi 3 maggio 1979, negli uffici della sede DC romana si svolgevano alacremente tutte le attività con le quali il partito "scudocrociato" avrebbe affrontato i prossimi impegni elettorali. Da tre anni per la prima volta era all’opposizione in Campidoglio presieduto dalla giunta Argan. Nelle elezioni si saarebbe confrontata con il successore della “giunta rossa” Luigi Petroselli. Argan stava per rassegnare le dimissioni per motivi di salute, Petroselli presto sarebbe diventato sindaco di Roma (il 25 settembre 1979). Ebbene quella mattina del 3 maggio stava per accadere proprio lì in quegli uffici, in questa piazza, un fatto che avrebbe gettato di nuovo nello sgomento la capitale e l'intera nazione. 

l'inferno di fuoco

Quella mattina, poco distante da lì, un'auto della Digos del Commissariato Trevi Campo Marzio, durante il servizio di pattugliamento e di perlustrazione del territorio, si trovava a transitare in piazza del Biscione presso Campo dé Fiori, quando ricevette una segnalazione dalla centrale operativa d'intervenire immediatamente in piazza Nicosia perchè s'erano udite esplosioni, spari e urla. Allorchè i tre agenti, il maresciallo trentaquattrenne Antonio Mea, il ventiseienne appuntato Pierino Ollanu e la guardia Vincenzo Ammirata, partirono immediatamente a sirene spiegate a tutta velocità imboccando corso Vittorio, poi sfrecciando su corso del Rinascimento di fronte al Senato, imboccando a gomme stridenti via di Santa Giovanna d'Arco e poi a sinistra su via della Scrofa a tutta velocità fino all'incrocio con via del Clementino. L'auto virò sgommando a sinistra e poi subito a destra irrompendo in piazza Nicosia, aggirò la Fontana del Trullo e inchiodò bruscamente poco più avanti del portone al civico 20 quasi all'angolo con l'arco che immette sul lungotevere. Era ancora in corso un'azione eversiva delle Brigate Rosse.

Dopo molti giorni d'appostamenti, il blitz armato aveva preso il via esattamente alle ore 9:40. Un gruppo di terroristi formato da tredici componenti divisi in tre nuclei, aveva fatto irruzione di sorpresa dentro la sede della Democrazia Cristiana. Due gruppi di militanti, guidati rispettivamente da Bruno Seghetti e Prospero Gallinari aveva irrotto al civico 20 e dopo aver disarmato e ammanettato l'agente in servizio ordinario di guardia nell'atrio (il ventiduenne Sergio Simone) i terroristi salirono correndo le scale sparando in aria e occuparono il primo e il secondo piano. Mentre il nucleo guidato da Francesco Piccioni rimase fuori, appostato giù nella piazza per contrastare eventuali interventi delle forze dell'ordine.
Dopo aver immobilizzato gli impiegati, i brigatisti spararono in aria e poi puntarono le loro armi verso i presenti terrorizzati, impartendo loro di consegnare determinati documenti istituzionali riservati. Poi iniziarono anche a rovistare maldestramente negli armadi e nei cassetti degli uffici in cerca d'altro. Dossier e documenti e interi schedari vennero requisiti. I terroristi collocarono e innescarono cinque cariche esplosive. Su una parete interna scrissero a caratteri cubitali con una vernice spray rossa la frase:
«Trasformare la truffa elettorale in guerra di classe». Poi con le stesse bombolette marcarono altre pareti con la stella a cinque punte, loro "famigerato marchio di fabbrica".

Era un'azione efferrata, calcolata, violentisima, compiuta con cinica esperienza criminale. Tuttavia, benchè spettacolare e clamorosa, nel corso dell'irruzione eversiva all'interno della sede della Democrazia Cristiana, non ci furono vittime e neanche feriti. Con quelle caratteristiche tecniche in gran parte nuove e inusitate, come il numero dei partecipanti, l'uso delle cariche esplosive, la scelta e l'ubicazione dell'obiettivo, chissà, probabilmente le Brigate Rosse volevano di nuovo compiere un'atto clamoroso e dimostrativa nei confronti dello Stato. 
Ma torniamo all'arrivo in piazza Nicosia dell'auto della Digos con a bordo gli agenti Mea, Ollanu e Ammirata. I tre poliziotti notarono subito un'aria surreale. Dall'alto d'una finestra degli uffici della Democrazia Cristiana un uomo affacciato stava urlando a squarciagola verso di loro:
«State attenti, stanno scendendo!». All'interno del grande edificio in travertino di fronte s'udivano urla e colpi d'arma da fuoco. Tutt'intorno nella piazza, dai palazzi e agli imbocchi del vicolo della Campana, di via Monte Brianzo e via del Clementino c'era gente che urlava e fuggiva. Percependo istintivamente l'immensa gravità della situazione, senza esitare spalancarono gli sportelli della loro Lancia Delta. I coraggiosi Antonio, Pierino e Vincenzo scesero senza esitare con le armi in pugno. Purtroppo era lì appostato il nucleo armato BR guidato da Piccioni che immediatamente aprì il fuoco contro di loro crivellando la vettura a colpi di mitra. D'emblée si scatenò l'inferno. In pochi istanti ci fu una tempesta di proiettili. Il panico scoppiò nella piazza e nelle vie circostanti. Spararono sicuramente il Kalashnikov di Piccioni e l'M12 di Anna Laura Braghetti. Il brigadiere Mea morì sul colpo, mentre l'agente Ollanu morì nell'ospedale San Giacomo in Augusta una settimana dopo, il 10 maggio, a seguito delle ferite riportate. Anche Ammirata gravemente ferito fu trasportato d'urgenza all'ospedale San Giacomo, grazie al cielo si salvò, passeranno trentun'anni quando la mattina di mercoledi 21 aprile 2010 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli conferirà la «Medaglia d'oro di Vittima del Terrorismo».

Ecco qui di seguito a voce di Ammirata nella sua testimonianza dei fatti durante il "Processo Moro Ter"  (15 ottobre 1987):

I TERRORISTI DEL COMMANDO delle BRIGATE ROSSE

Nessun brigatista rimase ucciso quel giorno. Se ne andarono in possesso del loro bottino documentario: in tredici erano arrivati, in tredici tornarono alle loro basi. Quei terroristi facevano parte della stessa organizzazione che un anno prima aveva pianificato e perpetrato il rapimento e l’assassinio del leader democristiano Aldo Moro. Le indagini condotte dalla Digos consentirono di individuare tutti gli autori dell'assassinio di Mea e Ollanu, che furono arrestati e condannati all'ergastolo.

Vediamo chi erano alcuni degli efferrati personaggi che facevano parte del commando terroristico di piazza Nicosia: Bruno Seghetti romano di Centocelle aveva ventinove anni quando partecipò all'attentato, era membro della direzione romana delle Brigate Rosse con Valerio Morucci, Adriana Faranda, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani e Mario Moretti. Bruno Seghetti fu colui che condusse in zona Camilluccia il mezzo che, accostato lungo via Stresa, si portò in retromarcia all'incrocio con via Mario Fani e su cui venne caricato il Presidente della Democrazia Cristiana prelevato dalla sua auto. Dopo il trasbordo del sequestrato in quell'auto si mise alla guida Mario Moretti. Mentre Bruno Seghetti e Valerio Morucci lo seguirono dietro su una Citroën Dyane fino al parcheggio sotterraneo d'un supermercato in via dei Colli Portuensi dove lo statista sarebbe stato nuovamente trasferito velocemente su una vettura Citroën Ami 8. Quell'auto uscì rapidamente da quel garage, alla volta della vicina zona di Villa Bonelli.

Moro fu rinchiuso in un appartamento di un palazzo situato in via Camillo Montalcini 8. Rimase lì recluso cinquantacinque giorni.

Tornando al blitz di piazza Nicosia, c'era quel giorno anche Prospero Gallinari, un terrorista che, oltre ad aver partecipato fattivamene al rapimento di Moro, fu anche esecutore diretto, con altri brigatisti, di otto omicidi, tra cui quello di via Forlì nel quartiere Nomentano-Italia in cui perse la vita crivellato da quattordici colpi il magistrato Riccardo Palma direttore dell'Ufficio ottavo della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena (l'attuale Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia). Inoltre, nel commando di piazza Nicosia c'era anche Francesco Piccioni, fondatore della colonna romana delle Br e membro della direzione strategica con Renato Curcio e Alberto Franceschini.

A sx il Presidente della DC Aldo Moro, durante uno dei suo 55 giorni di prigionia. Al centro la terrorista Anna Laura Braghetti. A dx i corpi crivellati di Mea e Ollanu

Due dei componenti del gruppo, Antonio Savasta e Emilia Libera, vennero arrestati quattro anni dopo, nel 1982 dagli agenti dei NOCS a Padova, in occasione dell'intervento per liberare il generale statunitense James Lee Dozier, sequestrato dai terroristi.

Nel gruppo di fuoco di piazza Nicosia c’era anche la ventiseienne Anna Laura Braghetti, la ragazza con la mantellina nepalese sotto la quale era nascosto il mitra M-12 che crivellò i tre giovani agenti di pallottole. Anna Laura nota come "la carceriera di Moro", fu colei che uccise, l’anno dopo, Vittorio Bachelet e che mai si pentì delle sue scelte.

I due giovani agenti della Digos trucidati dalle Brigate Rosse il 3 maggio del 1979