C'ERA UNA VOLTA IL BAR PUCCI di Claudio Di Giampasquale
Le caffetterie nella capitale hanno avuto un ruolo speciale, molto più d'un semplice posto dove bere un caffè o mangiare qualcosa. Nella seconda metà dell'Ottoceno fino alla prima metà del Novecento quelle letterarie hanno contribuito a scrivere la storia. Poi nei decenni sorsero i bar e le "latterie" ancora oggi, in particolare i bar, luoghi d'incontro e di socializzazione...

Certe attività commerciali anche se chiuse da tanto tempo, riescono ancora a rimanere vive nei ricordi di chi le ha viste e vissute. È bello sapere che certi luoghi hanno lasciato un segno così intenso. Il Bar Pucci, con la sua storia durata dal 1973 fino al 1990, ha rappresentato molto per gli abitanti di Prati. A via Fabio Massimo all’angolo con via dei Gracchi, aleggia a tutt'oggi l’atmosfera di quei tempi passati: non poche persone di una certa età ricordano le storie che si sono intrecciate lì. Pucci fu un caffè di passaggio di tanti vip ma anche un punto di ritrovo storico di chi lavorava e di chi abitava nel ventiduesimo rione di Roma.
Negli anni Settanta e Ottanta da Pucci le differenze sociali, di genere e di provenienza furono sempre messe da parte, lasciando spazio alla condivisione e alla convivialità. Si offrì un aspetto molto bello della cultura romana di quel ventennio, dove il caffè diventava un momento d'aggregazione e di relazione tra persone d'ogni tipo, in un'epoca precorritrice della bulimia del consumismo che a differenza di oggi non aveva internet, non c'erano gli smartphone, non c'era google, whats app, i social e tutti le altre "diavolerie" che hanno soffocato il piacere dell'incontro. Un'epoca in cui "incontrarsi" era obbligatoriamente una "questione fisica". E per telefonarsi o cercare da remoto qualcuno fuori da casa bisognava prima convertire le "gloriose lire" in gettoni e poi trovare una cabina libera o un telefono in un bar. Quante telefonate nel retro e appuntamenti nei tavolini ci furono nel mitico bar Pucci!
Dante Pucci era "figlio d'arte", cresciuto nella latteria dei genitori in via Garigliano 7 a pochi passi dal quartiere Coppedè respirando il profumo del caffè e districandosi con passione nell'arte della caffettiera e della cornetteria . Aveva lì imparato da suo padre ogni segreto del mestiere. Sino a che con sua moglie Anna decise d'iniziare un nuovo percorso, in autonomia. Scelsero la zona Prati, per tutte le allettanti motivazioni commerciali che ancora oggi conosciamo, cercarono e trovarono il posto adatto, era "Il mercato del caffè" un vecchio bar torrefazione con quattro vetrine che s'affacciavano all'angolo di via Fabio Massimo con via dei Gracchi. Dopo varie trattative acquistarono mura e attività commerciale e in poco tempo grazie al loro entusiasmo, a una notevole "conoscenza del mestiere" e una spiccata capacità relazionale la trasformarono nel "mitico bar Pucci".
Prati stava crescendo e cambiava volto, l’atmosfera era elegante e i clienti divenivano sempre più facoltosi, in quanto d'estrazione sociale medio-alto borghese. Quattro anni prima nel vicino piazzale Clodio aveva definitivamente aperto i battenti la nuova "città giudiziaria" che insieme ai tribunali in via Giulio Cesare contribuì notevolmente a far diventare il ventiduesimo rione della città eterna un maestoso polo di riferimento dei comparti: giudiziale, legale e giuridico. "Spuntavano come funghi" studi professionali e tutto il plesso intorno ai tribunali inizò a pullulare di professionisti del settore e dinamici impiegati e di conseguenza con il via vai dei loro clienti. Per la gioia commerciale dei negozi di Prati e sopratutto dei proprietari d'immobili che videro da allora accrescere enormemente il valore delle loro proprietà. Il bar Pucci era un "porto di mare". Divenne così un punto di ritrovo "à la page". Dante e Anna oltre ai caffè, cappucini e cornetteria propinati "in tutte le tipologie" iniziarono ad essere anche un luogo dove pranzare. La famiglia abitava al portone a fianco, al terzo piano e così Anna s'organizzò con maestria per preparare pasti caldi e portarli giù al bar. In sostanza il bar Pucci divenne la prima vera tavola calda della zona. C’era sì Franchi a due pasi in via Cola di Rienzo ma era solo da asporto, Dante e Anna invece organizzarono il loro locale anche per far sedere i clienti. Poi sfruttarono il grande piano inferiore, che una volta era della torrefazione per realizzare la cucina e la sala. Facevano oltre cento coperti, che era un gran numero per l’epoca. All’ora di pranzo molte persone che lavoravano negli studi professionali e negli uffici di zona si recavano da Pucci che apriva alle cinque del mattino per offrire la colazione ai netturbini e a chi iniziava la giornata all'alba, fino alla sera tardi. Da Pucci si poteva anche cenare, negli anni Settanta e Ottanta sono passati lì tanti vip e personaggi famosi, per citarne solo alcuni: da Luca Cordero di Montezemolo e Edwige Fenech, a Renato Zero che divenne un habitué, ma anche Sandro Ciotti, Maria Rosaria Omaggio, Patty Pravo, Pippo Franco, Enrico Montesano, Mia Martini, Francesco de Gregori, Pino Daniele (che abitavano lì vicino), i Cugini di Campagna, Tony Esposito, Claudio Simonetti e tanti altri. Insomma tanti ricordi speciali legati a questo bar.
Iniziò a collaborare nell'azienda di famiglia il figlio Massimo. Ma i tempi cambiarono velocemente, iniziavano gli anni Novanta, la modernità era giunta e le norme del settore si facevano sempre più rigide e stringenti. L'età di Dante e Anna non era più verde e così un giorno i due coniugi si trovarono obbligatoriamente di fronte a un bivio. Il famoso locale era divenuto obsoleto tecnicamente e in relazione alle nuove regole bisognava investire una fortuna per restaurarlo, modificarlo sostanzialmente e mettere tutto a norma, rinunciando purtroppo a molti spazi che non risultavano più regolari. Massimo anche studiava, era troppo giovane e inesperto per aiutare i genitori a prendere una decisione così importante che metteva in gioco il futuro dell'intera famiglia. Fu cosi che i tre (papà, mamma e figlio) di comune accordo, a distanza di diciassette anni dall'apertura, scelsero la direzione di "realizzare" e cedettero l'attività che, ovviamente cambiò insegna e differenziò la proposta. E così il nome del bar Pucci da allora cadde nell'oblio dei cambiamenti generazionali ma non si disperse perchè scolpito nei ricordi dei romani.