IL RACCONTO DEL "GOBBO DEL QUARTICCIOLO" di Claudio Di Giampasquale
Il termine Quarticciolo, borgata a est di Roma, richiama alla memoria non pochi eventi storici dello scorso secolo. Situato nell'ambito del popolare "quartiere Alessandrino" il suo nome deriva dalla corruzione linguistica di "Quarto" perché distante quattro miglia da Porta Maggiore. Oggi purtroppo sono sempre più rari i suoi anziani abitanti, testimoni e "narratori a viva voce" di quella forte identità legata alle origini di questa borgata, radicate nei lontani anni della guerra. In quell'epoca il Quarticciolo era popolato da gente appartenente a strati sociali umilissimi segnati da difficoltà economiche, povertà e indigenza. Tuttavia fu uno dei luoghi più vivi e attivi durante la lotta per liberare Roma dal giogo degli invasori e dei tiranni, una straordinaria fase storica in cui anche personaggi giovanissimi hanno lottato per difendere gli ideali di giustizia rischiando e talvolta perdendo, la vita.
Al Quarticciolo e negli attigui quartieri Alessandrino, Centocelle e soprattutto nel non lontano Quadraro, molte bande partigiane combatterono con eroismo e determinazione contro l'invasione e la dura repressione, i rastrellamenti e le deportazioni: violenze che causarono non poca sofferenza tra gli abitanti di questo quadrante della capitale e in tante altre zone di Roma.

le origini di un ragazzo che in borgata divenne leggenda
Tra questi combattenti per la libertà uno dei più celebri gruppo armati fu la «Banda del Gobbo del Quarticciolo». I membri di questa compagine trovarono rifugio tra le strade della borgata, che offrono non solo protezione, ma anche un perfetto nascondiglio per armi e refurtiva. La memoria popolare conserva ancora vividamente le gesta di Giuseppe Albano, il "Gobbo", giovane eroe della Resistenza e bandito gentiluomo, che da un lato nutriva un odio viscerale verso gli oppressori tedeschi e di conseguenza verso i fascisti italiani che li spalleggiavano e dall'altro era noto per la sua generosità verso i poveri della borgata. Questo lo rese un personaggio amato, un giustiziere del popolo capace d'unire la lotta armata contro l'oppressione, con un forte senso di giustizia, perché il giovane credeva che i diritti di libertà e un minimo di benessere dovessro essre alla portata di tutti.

Giuseppe nacque venerdi 23 Aprile 1926 a Gerace Superiore un paesino calabrese su un'altopiano che congiunge le "Serre calabresi" all'Aspromonte. La sua modestissima famiglia dieci anni dopo, fece le valigie e si trasferì a Roma in cerca di fortuna, stabilendosi in viale delle Ciliegie 187 nella borgata del Quarticciolo. La vita "diede subito del filo da torcere" al piccolo Giuseppe, una caduta gli causò una malformazione alla schiena che gli causò l'epiteto di "gobbo". Piccolo di statura, con un aspetto malaticcio, dovette crescere in fretta, con lavori saltuari per aiutare la famiglia "a campare". La vita era una lotta continua, ma dentro di lui ardeva un fuoco. Non era solo forte e coraggioso, era anche arguto, intelligente e intraprendente.
le vicende della banda del gobbo
Giuseppe iniziò presto a commettere trasgressioni alle regole imposte in quell'epoca non democratica, nonché piccoli reati. Lo faceva assieme ad altri suoi coetanei abitanti nella stessa borgata, anch'essi per la maggior parte figli d'immigrati dal sud. Sin da subito si fece notare per il suo coraggio, ad esempio quando da solo riuscì a disarmare due giovani avanguardisti che lo minacciavano col pugnale e poi quando comparve in una foto dell'epoca che lo immortalava a Porta San Paolo con il grembiule da garzone di farmacia, calzoni arricciati e rimboccati sotto le ginocchia, appena diciassettenne, mentre combatteva accanto ai soldati contro i tedeschi, al riparo di un carro armato. Poi nella zona di Piazza Vittorio, partecipò ad operazioni di sabotaggio. Partecipò a numerose operazioni di sabotaggio, soprattutto di treni tedeschi, di assalto ai forni per distribuire la farina alla popolazione affamata. Divenne subito famoso per la rapidità d'azione e l'abilità nel dileguarsi, impegnando moltissimo le truppe tedesche che occupavano la città.
Per darsi maggiore importanza, quando non lavoricchiava lecitamente (cosa che dovette smettere presto per non rimanere esposto ed esser riconosciuto a cagione della sua gibbosità) indossava un cappello stile borsalino, simbolo delle sue "attività illegali" a capo della banda, il che contribuì ad aumentare il suo carisma "aspro" probabilmente ereditato da suo papà e dalle origini attigue al massiccio montuoso calabrese da dove provenivano. I nazifascisti lo segnalarono come elemento pericolosissimo e raccomandarono agli addetti alla sicurezza e di far uso delle munizioni al primo accenno di reazione.
I nazifascisti lo segnalarono come elemento pericolosissimo e raccomandarono agli addetti alla repressione di far uso delle armi al primo accenno di reazione. Ma il "gobbo", attorno alla quale ben presto inziò ad aleggiare un'atmosfera leggendaria, benché schedato come elemento della massima pericolosità e con la sua foto che iniziò che circolare per tutta Roma, era introvabile.
L'UCCISIONE DEI TRE NAZISTI SOTTO er PERGOLATO "Da GIGGETTO"
La banda del Gobbo fu la prima a reagire alla rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Dopo sedici giorni dalla strage, lunedì di Pasquetta 1944 avvenne un fatto dentro la trattoria di
"Giggetto a Cecafumo", una di quelle con le tovaglie di carta che serviva il vino dei castelli dentro le fojette, ubicata in una zona di campagna fuori porta, esattamente nel punto dove nei successivi anni Cinquanta verrà realizzato dall'edilizia intensiva l'incrocio tra via Calpurnio Fiamma e via Tuscolana. Quel giorno erano lì a pranzo tre soldati appartenenti alla "Schutzstaffel" riconoscibili per la loro uniforme marziale grigia, il gruppetto era seduto a mangiare sotto il pergolato, tre biondi ragazzi tedeschi poco più che ventenni, in permesso di festività, coinvolti probabilmente da tre ragazze romane nella tradizionale consueta gita fuori porta, come tanti altri romani. Giggetto anche in quella "Pasquetta di guerra" era pieno di "fagottari" (gitanti fuori porta) arrivati di consuetudine per godersi un po’ di sole e di tranquillità, di quella tranquillità che era diventata merce rara quasi quanto la farina per il pane alla borsa nera. Anche Giuseppe Albano era lì a mangiare insieme ad altri amici appartenenti alla banda, fatalità proprio in un tavolo accanto a quello dove sedevano i tre militari nazisti. Si narra che i tre ragazzi del Quarticiolo vennero presi di mira con battute ed ammiccamenti dai soldati, forse magari per gioco o per scherno o per "farsi grandi" di fronte alle ragazze romane con loro. L'atmosfera alterata dal tosto vino dei Castelli improvvisamente si scaldò, forse per le battute di scherno in un pessimo italiano verso quel ragazzo diverso per la sua deformità fisica. Di contro la percezione di Giuseppe e dei suoi amici devenne quella di chi subiva una pesante presa in giro.

Molti sostengono che il Gobbo fosse stato da subito riconosciuto come il pericoloso nemico del Reich, ma se così fosse stato i soldati non avrebbero certo perso tempo in battute ma avrebbero dato l’allarme. Si crearono inevitabilmente, purtroppo, le condizioni che determinarono l’uccisione dei tedeschi da parte del gruppetto di ragazzi di borgata, il Gobbo sottovoce indicò a due sue amici di tirar fuori la Beretta M34 e impartì a ciascuno a quali due avversari avrebbero dovuto esattamente sparare, stando attenti a non colpire le ragazze, al terzo ci avrebbe pensato lui. Tra uno scherno e l'altro al quasi silenzioso via del Gobbo i tre s'alzarono fulmineamente e spararono in faccia ai tre nazisti. Il loro sangue e materia organica schizzò ovunque intorno. Le ragazze inzaccherate di sangue fuggirono urlando terrorizzate. Tutti scapparono, lasciando i propri fagotti sui tavoli. Parte delle indagini furono affidate al Corpo della Polizia Africa Italiana. La reazione tedesca fu spietata, i tutta Roma, ma soprattutto con la tragica deportazione di massa in quella borgata che i nazisti chiamarono
"nido di vespe": il "Quadraro".
Il giovane Giuseppe Albano potè sicuramente considerarsi la "primula rossa" della Resistenza romana, sul suo capo gravò la taglia di un milione e mezzo di lire per l'uccisione di sedici fascisti e di un'ottantina di tedeschi. Le azioni di Resistenza messe a segno dai giovani della banda del "Gobbo del Quarticciolo" si susseguirono con tale frequenza che a certo punto il "aussenkommando" che era sotto la direzione del generale Kurt Mälzer, che non conosceva l'identità di Giuseppe Albano, ordinò che venissero arrestati tutti i gobbi di Roma. Lunedì 17 aprile 1944 anche Giuseppe Albano finì in una retata, dopo che nel Quartiere Quadraro lui e i suoi compagni avevano abbattuto tre soldati tedeschi, portato in via Tasso il giovane partigiano non fu riconosciuto e venne rilasciato.
la misteriosa fine del gobbo
Con la Liberazione di Roma, Giuseppe Albano si mise al servizio della questura per catturare i torturatori di via Tasso, formando una banda di pregiudicati che aveva come base operativa il quartiere del Quarticciolo. Il gruppo si diede subito da fare, catturando parecchi ex-militanti del partito fascista e alcuni esponenti della famigerata banda del torturatore repubblichino Pietro Koch. Ma l'attività del gruppo, sempre più spesso, era mirata a condurre furti e rapine ai danni degli arricchiti della "borsa nera" e degli ex-fascisti, redistribuendo poi generi di prima necessità e viveri alla popolazione affamata. Insofferente di ogni disciplina, il Gobbo e i suoi uomini si comportavano come una moderna bnda alla "Robin Hood". Tuttavia c'erano anche molti che sostenevano che si trattasse soltanto di un gruppo di criminali in competizione con altri clan rivali per contendersi il controllo del territorio di Roma sud-est. Durante una di queste azioni, in circostanze poco chiare, fu ucciso un caporale inglese. Ci fu di conseguenza un vero e proprio rastrellamento che investì il Quarticciolo, un'imponente caccia all'uomo con l'invio di mezzi blindati che trasformarono la borgata del Gobbo in una zona di guerra. Giuseppe Albano, dopo esser riuscito in un primo momento a sfuggire, in un episodio mai completamente chiarito, venne rintracciato nel rione Prati a poca distanza dal Vaticano tra viale delle Milizie e viale Giulio Cesare, nell'androne di un palazzo di via Fornovo 12 mentre usciva dalla sede dell’Unione Proletaria, si disse che fu riconosciuto e ucciso con sei colpi di pistola, di cui uno alla testa, dopo un conflitto a fuoco con i militari dell'Arma dei carabinieri. Era la mattina di martedi 16 Gennaio 1945.
Nel libro "Il re, Togliatti e il gobbo. 1944: la prima trama eversiva" Corvisieri ritiene che la morte del Gobbo del Quarticciolo non sia avvenuta per mano dei carabinieri, bensì fu un'esecuzione compiuta da una frangia della Resistenza. Sempre seguendo questa tesi, secondo alcuni dimostrata anche dalla rapidità con cui fu chiuso il caso, il "Gobbo" sarebbe stato ucciso da sicari di Umberto Salvarezza, leader di Unione Proletaria, gruppo su cui pesavano forti sospetti di formazione provocatrice.
La strategia, diretta da Umberto II, sempre secondo la ricostruzione di Corvisieri, che ignora semplicemente la presenza delle truppe alleate vincitrici con le quali bisognava rapportarsi, avrebbe dovuto portare a un nuovo governo presieduto da Pietro Badoglio: la strategia fallì, ma ebbe comunque l'effetto di bloccare epurazioni e indagini sui collaborazionisti.
La tesi di un "regolamento di conti" all'interno della Resistenza, attraverso testimonianze inedite, viene confermata nel libro "Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza" di Massimo Recchioni e Giovanni Parrella.
Una successiva “controinchiesta”, condotta da Franco Napoli, altra testa pensante della “banda del Quarticciolo” asserì che Albano fu ucciso a tradimento da un certo Giorgio Arcadipane, già spia dei tedeschi tra i detenuti di Regina Coeli, infiltratosi tra i
presenti dell’Unione Proletaria quel giorno che Albano si recò lì.
Una cosa sola è certa: Giuseppe quando cadde non aveva ancora compiuto diciannove anni. Su di lui e sulla sua partecipazione alla Resistenza romana sono stati pubblicati molti libri. Nel 1960 uscì nelle sale il film di Carlo Lizzani "Il Gobbo" interpretato da Alvaro Cosenza e che vide tra i protagonisti anche Pier Paolo Pasolini, nella parte di Leandro detto "er Monco".








