IL MISTERO DI PIAZZA NAVONA di Claudio Di Giampasquale

Piazza Navona nasconde un lato oscuro e misterioso, la storia di Costanza de Cupis una splendida ragazza nata alla fine del sedicesimo secolo, appartenente alla nobile famiglia baronale romana Conti di Segni. In giovane età venne portata a Roma per essere data in sposa a un pronipote del cardinale Giandomenico de Cupis e così venne a vivere nel palazzo nobiliare di famiglia.
Ben presto la fama della sua bellezza si sparse nel rione Parione e in quelli limitrofi. Erano molti i curiosi che accorrevano discreti per poterla ammirare, nel rispetto dell'onore dei potenti de Cupis. La radiosità della giovane era notevole, in ogni senso, ma le mani erano ciò che colpiva di più, al punto tale d'esser cantate da poeti dell'epoca. Uno scultore che aveva bottega in via dei Serpenti nel rione Monti, chiese e ottenne il permesso di poter riprodurne la forma posandola in un calco di gesso che, perfettamente realizzato, venne custodito in una teca di cristallo e adagiato su un piccolo cuscino di velluto e messo in mostra.
Furono numerosi coloro che vennero a visitare la bottega dell’artista, non potendo avere l'opportunità di ammirare di persona le mani della donna si recavano a contemplarne la loro fedele riproduzione. Si narra che uno di questi, un prete domenicano di San Pietro in Vincoli, dopo averla ammirata esclamò che «se quella mano fosse appartenuta ad una persona reale, per la sua perfezione e preziosità correva il rischio d'essere tagliata e trafugata».

La sinistra affermazione corse veloce di bocca in bocca nei rioni attigui giungendo anche alle orecchie di Costanza, che non la prese bene e da quel giorno la visse come un presagio tra oscuri presentimenti. Il suo quotidiano fu pervaso dalla costante preoccupazione d’essere punita dal destino per aver ceduto alle lusinghe della vanità. Convincendosi d'essersi lasciata tentare dal Maligno e che le sue mani erano lo strumento diabolico che poteva allontanare la gente dai «reali motivi di fede e adorazione». Ordinò dunque di far distruggere quel calco. Purtroppo però dopo non molto tempo l’oscuro presagio del frate domenicano s’avverò.
La giovane donna era dedita all’arte del ricamo che aveva appreso quand’era fanciulla da esperte ricamatrici francesi. Le ragazze, specialmente quelle legate alle vecchie tradizioni, si cucivano a mano il corredo.
Un giorno di primavera inoltrata, la bella Costanza, mentre era intenta al ricamo di lenzuola, chiacchierando e pettegolando con altre ricamatrici in un'ampio salone al primo piano del palazzo De Cupis si punse profondamente un dito. Aiutata dalle altre donne presenti, cercò in tutti i modi di fermare o rallentare l'emorragia, il grande ago da ricamo era penetrato fino alla guaina tendinea del palmo. I dottori intervenuti immediatamente cercarono di disinfettare al meglio possibile la lesione.
Purtroppo all’interno della mano si sviluppò un’infezione batterica e la ferita in poco tempo s’infettò inesorabilmente. L’arto della bella Costanza gonfio e deformato, dovette essere amputato.
Forse a causa del dolore per quella perdita, più probabilmente a causa di una setticemia conseguente all’amputazione, solo dopo pochi giorni la ragazza morì.
Questo infelice epilogo colpì molto i romani. Trascorsero gli anni, la città eterna è un luogo ove più di ogni altro al mondo, da secoli, il sacro e il profano s’intrecciano in un affascinante gioco di luci, ombre e segreti. E così anche il racconto di Costanza si trasformò in leggenda avvolgendosi tra le pieghe del mistero e con fantasmi. Nelle notti di luna piena la sua mano, pallida e bellissima, continua ad apparire dietro uno dei vetri al primo piano dell’antico palazzo de Cupis oggi Tuccimei, mentre il fantasma della donna sembra faccia fugaci apparizioni intorno alla Fontana del Nettuno a piazza Navona per poi incamminarsi, imboccando ogni volta il vicolo de Lorenesi, avanzando lentamente lungo i muri degli antichi edifici in direzione dell’ingresso del suo palazzo in via Santa Maria dell'Anima, tentando invano di ricongiungersi alla sua mano.
Per alcuni predicatori e bacchettoni cattolici la storia divenne il pretesto per attribuire tale triste fine all’ira divina per condannare i peccati di vanità e superbia.
Certamente ciò che resta di Costanza e la sua triste storia è il ricordo di un’epoca bigotta e sognatrice, timorata e irriverente in cui l'arretratezza della medicina poteva costar cara anche a chi aveva risorse per potersi ben curare.
Ai primi dell'Ottocento Giovan Battista Tuccimei acquistò, per 3450 scudi, buona parte del Palazzo de Cupis per farne la residenza romana della sua famiglia. E così da allora il nobile edificio cambiò nome.