IL TESORO DI VIA ALESSANDRINA di Claudio Di Giampasquale
La via Alessandrina percorreva il borgo omonimo nel cuore dell'antica Roma. Questo plesso rinascimentale venne realizzato nel Cinquecento per volere del cardinale piemontese Michele Bonelli originario di Bosco Marengo un piccolo centro nei pressi di Alessandria. Il potente porporato era pronipote del papa Sisto V. Aveva cambiato a diciotto anni il proprio nome da Antonio a Michele quando entrò nell'ordine dei "Frati predicatori". Ordinato sacerdote, divenne professore di teologia a Perugia. Il papa lo creò cardinale presbitero del titolo di "Santa Maria sopra Minerva" nel concistorio del 1566 e lo nominò Cardinal Nepote e Sovrintendente Generale dello Stato Ecclesiastico. Come "Cardinal Nepote" volle la bonifica e la costruzione di diversi palazzetti nell'antica zona detta "piana dei Pantani" situata fra la Colonna Traiana e il Tempio della Pace sino alla basilica di Massenzio, nonché la realizzazione di un dedalo di vie e vicoli tra cui una strada lunga oltre quattrocento metri, che venne appunto denominata via Alessandrina (come fu l'intero borgo) proprio per l'appellativo di "alessandrino" che gli derivava dall'essere nato nel contado di Alessandria.
Facciamo un salto avanti nel tempo di oltre tre secoli e mezzo. Esattamente nell'epoca del potere di Benito Mussolini che volle usare anche l'archeologia per fini propagandistici e politici, attraverso il raffronto tra l'urbe dei Cesari e la città fascista, e con una visione che cercava analogia tra la "nuova grandezza" e quella dell'antica Roma. Di conseguenza diede inizio a numerose opere di sventramento, consistenti nella rimozione di interi palazzi nobiliari, palazzetti, chiese e di caseggiati edificati a ridosso dei monumenti antichi. Tra questi scempi volle anche la demolizione dell'intero borgo Alessandrino, compresa l'omonima strada che l'attraversava, per far posto a un sontuoso vialone che si sarebbe chiamato via dell'Impero (oggi via dei Fori Imperiali) e che avrebbe collegato piazza Venezia al Colosseo.

LA SCOPERTA DEL TESORO DURANTE LE DEMOLIZIONI
Un bel giorno, nell'enorme cantiere dei lavori di sventramento del quartiere Alessandrino, esattamente giovedi 22 febbraio 1933, mentre erano in corso i lavori di abbattimento degli edifici dell'arteria principale del borgo, alle ore tredici e trenta circa, subito dopo la ripresa dalla pausa pranzo, il manovale picconatore Antonio Simonetti abitante alla Marranella a Tor Pignattara, stava eseguendo l'abbattimento di un'intera parete portante dell'appartamento al primo piano dello stabile in via Alessandrina al civico 110. Quando nel picconare il muro urtò contro qualcosa di metallico. Incuriosito, iniziò a scavare tutt'intorno a quell'oggetto "sonante" seguendo l'attiguo muro che glielo permetteva. Emerse gradualmente una forma rettangolare di metallo, era una grande lastra sepolta. Colpendola risuonava evidenziando che dietro non ci fosse muro, evidentemente sigillava uno spazio vuoto, o meglio era la "porta d'accesso a un vano". Simonetti era un'esperto picconatore, la rimosse con maestria e quel che vide dentro il loculo lo lasciò sbigottito: era una cavità ove erano occultati una marea di rotolini di carta contenenti qualcosa.
Una volta aperti, per l'enorme sorpresa del muratore e delle altre maestranze accorse, gli involti rivelarono al loro interno monete d'oro e gioielli. Il responsabile dei lavori s'accorse di qualcosa di sospetto e avvisò la polizia, che intervenne subito. Gli agenti perquisirono gli operai e sequestrarono un tesoro, che si rivelò essere un vero e proprio bottino nascosto. Successive indagini portarono alla scoperta di altri oggetti d'oro, preziosi e monete nascosti tra i materiali di scarto, probabilmente occultati dagli operai con l’intenzione di impossessarsene in un secondo momento. Nelle successive perizie risultò che il peso totale di questo tesoro ammontava a circa diciassette chili d’oro, con anche una congrua parte d'oggetti d’argento ed elettro (una lega d'oro e argento che si rinviene in natura). Grazie all’annotazione sulla quotazione di una moneta, un
Tremisse di Onoria, trovata su uno dei rotoli di spessa carta che avvolgeva il tesoro, gli esperti riuscirono a risalire a un preciso intervallo di tempo in cui il tesoro fu nascosto: cioè tra il 1892 e il 1895. Inoltre molte altre annotazioni su altri involti suggerivano che l’accumulo di quel tesoro fosse iniziato oltre vent'anni addietro.
L'entità del tesoro, il clamore mediatico e le vincite al lotto
La vicenda del ritrovamento suscitò un'enorme clamore mediatico sia nella città eterna che in tutta la nazione. I giornali dedicarono ampio spazio sia alla scoperta stessa, sia alla storia dell'antiquario Martinetti ipotetico possessore del patrimonio, ed anche alle complicate vicende legali che ne seguirono. Pubblicarono un valore di circa un milione di lire d'allora. Francamente al giorno d'oggi il valore stimabile è difficilmente calcolabile anzi, incommensurabile e vediamo perchè. L'inventario redatto dalle autorità diede un quadro dettagliato di ciò che fu trovato: risultarono ben quattrocentoquaranta monete antiche, tra cui tre etrusche, ventisette greche, settantotto romane d'età repubblicana, centodiciassette romane d'età imperiale, cinquantaquattro bizantine, dodici longobarde e sessantaquattro dello Stato della Chiesa fino al pontificato di Clemente XIV. Inoltre risultarono duemilaottantanove monete di fine diciannovesimo secolo e inizio ventesimo, per un totale di dodici chili d’oro, con il gruppo più numeroso costituito da millequattrocentottanta monete dell’Ottocento francese. Furono trovati anche ottantuno monili antichi alcuni dei quali appartenevano alla dispersa Collezione Ludovisi (come si scoprì in seguito). Tra i gioielli, spiccavano settantadue anelli, quasi tutti in ottimo stato di conservazione, distribuiti tra il primo secolo avanti Cristo e i primi dell’Ottocento. Inoltre, furono trovati anche quattro medaglioni d'oro con pietre dure, quattro placchette d’oro con sbalzi, un oggetto d'oro senza pietre e una piccola scheggia sempre d’oro che purtroppo "fu successivamente smarrita".
Ma ciò che rese questo racconto ancor più affascinante fu l'effetto boomerang e la misteriosa e leggendaria equazione che ne derivò: il sabato successivo alla scoperta, i numeri estratti al gioco del Lotto sulla ruota di Roma furono 12, 47, 24, 62, 74. Su questi numeri erano state puntate molte giocate, e in particolare sul terno 24 “il muratore”, 62 “gli anelli d’oro” e 74 “le monete”. Grazie a queste giocate, furono distribuiti in tutt'Italia quasi un milione di lire di premi un'iperbolica cifra che mistriosamente controbilanciava il valore del tesoro pubblicamente dichiarato all'epoca.
le cruente battaglie legali
Le indagini confermarono che le monete e i gioielli trovati furono nascosti da Francesco Martinetti vissuto nell’appartamento di via Alessandrina dal 1879 fino alla sua morte nel 1895. I suoi pronipoti già due giorni dopo il ritrovamento rivendicarono la proprietà del tesoro inviando un atto d'intimidazione e diffida al Governatorato di Roma, chiedendo la consegna delle monete e dei gioielli sequestrati, oltre a qualsiasi altro bene che potesse essere rinvenuto in futuro nell’appartamento. Quella del 22 febbraio 1933 non era la prima volta che l’appartamento del loro nonno riservava sorprese. Quarant’anni prima, gli eredi Martinetti (tra cui il fratello Angelo e i nipoti Francesco e Filippo Jacovacci) avevano già fatto delle ricerche nelle stanze sospettando che ci fosse qualcosa di nascosto. Perquisirono le pareti praticando dei fori, spostando delle statue facendo emergere duecentotrenta monete d’oro e centocinquanta d’argento che si divisero tra loro. Tuttavia queste scoperte non portarono alla luce il vero tesoro oggetto protagonista di questo racconto.
Altri si fecero avanti rivendicando diritti, tra questi ci fu l’ingegner Franciosi figlio di Maddalena Coccia la governante dell’antiquario. Egli sosteneva d'essere stato nominato erede universale da Martinetti, ma che il testamento originale fosse stato fatto sparire dai parenti dell’antiquario, cioè dal fratello Angelo o dai nipoti. Franciosi affermò che l'antiquario Martinetti nutrisse per lui, allora bambino, un grande affetto ed appunto che avesse confidato solo a lui che nella casa di via Alessandrina fosse custodito un ingente tesoro. Inoltre, raccontò che l’antiquario si recava spesso in cantina da solo, senza voler essere disturbato, alimentando il sospetto che ci fossero altri nascondigli nel fabbricato.
La versione del figlio di Maddalena Coccia, l’ingegner Franciosi, fu confermata anche da una donna della “Roma bene” che dichiarò d'essere stata la fidanzata di Martinetti dopo la morte della moglie Camilla. La donna sostenne che l'antiquario le avesse confidato l’esistenza d'un testamento in cui nominava Franciosi come erede e lasciava un lascito a favore di orfani indigenti, oltre a intestarle una rendita vitalizia. Tuttavia, le ricerche non trovarono traccia di questo testamento, che si credeva fosse stato redatto dal notaio Francesco Gentili, morto nel 1929. Non si riuscì a trovare nessuna prova concreta né nell’archivio del notaio né tra le carte dei successivi notai, lasciando il mistero irrisolto.
Nel frattempo, un altro parente, il commendatore Edoardo Martinetti di Valentano, rivendicò l’eredità sostenendo d'essere un lontano parente dell’antiquario, legato a lui tramite un trisavolo, Fabio Martinetti, un nobile trasferitosi a Roma nel 1584.
Anche il muratore Antonio Simonetti avanzò pretese sul tesoro e per questo fu licenziato dall'azienda ove lavorava. Lo Stato però gli riconobbe una piccola somma come compenso basandosi sulla norma del codice civile che prevedeva una percentuale per chi trovava beni archeologici, anche se la provenienza delle monete e dei gioielli rimaneva sotto scrutinio.
Le autorità pensarono anche di scavare nella cantina del palazzo per cercare altri tesori nascosti, ma il progetto fu abbandonato per non ritardare l’inaugurazione di via dell’Impero prevista per il Natale di Roma. La vicenda per molto tempo rimase oggetto di numerose illazioni e di dominio pubblico sui giornali che parlarono anche dello
scandalo della Banca Romana,
dato che parte del denaro trovato era avvolto in fogli di carta intestata al
Banco Bombelli, banca fallita coinvolta nella corruzione. S'ipotizzò che le monete "di conio relativamente recente" e risalenti ai regni di Napoleone III e Umberto I, fossero state affidate a Martinetti dalla stessa banca durante il fallimento, intese come un modo per metterle al sicuro dalla confisca dei creditori.
chi era realmente il proprietario di questo tesoro?
Per le cronache, l'antiquario romano Francesco Martinetti fu un colto, intelligente e profondo conoscitore dell'arte antica, assai stimato nell'ambiente numismatico e antiquario romano. Ebbe in Piazza Montanara il centro dei suoi commerci, lo chiamavano
«er sór Checco»
e alcuni lo descrissero come
«n'ciccione dar volto pallido, cor grasso flaccido e có n'panzone sporgente, che có tutti li soldi che ci'aveva, viveva n'a vita misteriosa e da poraccio rintanato come n'ragno indentro er buco suo».
Ma non tutti la pensavano così, non poche persone della borghesia romana lo descrissero
«come n'omo coltissimo, dalla conversazione affascinante ed i modi affabili, in grado de fà dimenticà er fisico poco attraente che ci'aveva». In ogni modo, certamente Martinetti coltivò relazioni amichevoli e d'affari con personaggi dell'ambiente culturale internazionale. Oltre che prestigioso antiquario fu anche intagliatore di gemme, restauratore e mercante d'arte. Venne però implicato in clamorosi casi internazionali di contraffazione di reperti archeologici fra cui il più controverso fu quello della cosiddetta
"Fibula Prenestina" rivelatasi poi un manufatto genuino. Nonché il più famoso quello del
"Trono di Boston".
Insomma fu nel bene e nel male un vero e proprio protagonista del mercato antiquario romano della seconda metà dell'800
Voci di popolo narrarono che fosse pure un «cravattaro» a Roma si chiamano così gli "strozzini", ma di questo non vi è notizia certa e provata. Comunque fu davvero famoso per le sue "spericolate" acquisizioni d'oggetti antichi: tutte le mattine riceveva gente sia del popolo che nobili squattrinati acquistando da loro gioielli di famiglia, monete e altri oggetti di valore, sottopagandoli con abili sotterfugi. Per poi ricavarne enormi profitti nelle vendite applicando ricarichi e prezzi molto alti ai compratori.
Infine, non si seppe mai il motivo per cui decise d'accumulare e nascondere il tesoro, un'ipotesi è che i nascondigli servissero a mettere in sicurezza i beni per sottrarli ad occhi indiscreti, abitudine questa per il quale l'uomo era irriso sempre dalle maliziose voci di popolo che dicevano: «er sór Checco nun s'è mai fidato delle banche».
epilogo
La causa tra gli eredi di Martinetti e il Governatorato di Roma, proprietario dell'immobile espropriato si protrasse per otto anni. Gli eredi la persero. Al termine il tesoro, nel 1942 fu assegnato dal Tribunale alla Capitale e depositato presso il Comune di Roma nei Musei Capitolini nel Palazzo Clementino-Caffarelli al Campidoglio, con l'esposizione delle preziose collezioni di monete, medaglie e gemme antiche, in un suggestivo percorso museale arricchito dalla nutrita sezione dedicata al "Medagliere Capitolino" (ecco esattamente dove) in un luogo meraviglioso allestito come giardino pubblico con belvedere la cui ampia terrazza s'affaccia su un panorama mozzafiato della città eterna. Vi è anche un servizio bar e di ristorazone.
roma è uno scrigno di tesori nascosti
L'eccezionale ritrovamento seguì quello di alcuni anni prima, sempre nel centro di Roma, quando furono rinvenuti durante i lavori di sistemazione della "Loggia dei Cavalieri di Rodi" al Foro di Augusto circa duemila monete d’argento. Inoltre, l’anno precedente, alcuni operai che lavoravano nella Chiesa di Sant’Adriano al Foro Romano rinvennero monete d’oro e d’argento nascoste all’interno di un tricorno da prete. Questi ritrovamenti dimostrarono e dimostrano come il centro di Roma, la periferia e l'agro romano siano un vero e proprio scrigno di tesori nascosti e di storia antica. Chissà quanti ne cela ancora questa città? Chissà cosa sia rinvenuto durante tutti gli scavi per le realizzazioni delle moderne opere urbane? Chissà cos'è realmente rinvenuto o potrà esserlo durante l'attuale sfida ingegneristica sotto i Fori Imperiali per la complessa realizzazione della stazione metropolitana di piazza Venezia e delle eventuali successive previste in futuro? Che luoghi unici, incredibili, straordinari e misteriosi sono la città eterna e i suoi dintorni.