L'ARCANO ENIGMA DEL PANTHEON di Claudio Di Giampasquale
L’architetto Vitruvio (Marcus Vitruvius Pollio) visse a cavallo della fine dell'epoca romana repubblicana e l'inizio dell’impero del sommo Augusto. Nel suo trattato «De Architectura» fondamento dell'architettura occidentale fino alla fine del diciannovesimo secolo, Vitruvio sottolineò l'importanza del corretto posizionamento degli edifici rispetto agli elementi del cosmo, alla luce solare e ai venti. Principi fondamentali dettagliatamente espressi nel suo capolavoro suddiviso in dieci libri.
Il grande architetto donò la sua opera al primo imperatore di Roma, contenente le regole tecniche necessarie per la progettazione di quello straordinario rinnovamento dell'edilizia romana che poi avvenne durante l'impero a cominciare dalla fertile epoca di Ottaviano Augusto: anche grazie alle eccelse e ultraterrene ponderazioni di Vitruvio, considerato il più famoso teorico dell'architettura di tutti i tempi, Roma arrivò a raggiungere un inconmensurabile splendore estetico che fu palcoscenico della sua grandezza e a riflette ovunque la «civiltà romana» in quanto centro politico, economico e culturale del vasto impero, in sostanza a divenire la «città caput mundi».
Il Pantheon e la capacità intellettiva di Vitruvio sono fortemente legati poiché i costruttori del celebre tempio s’ispirarono totalmente alle regole tecniche del «De Architectura» per edificarlo ventisette anni dopo la nascita di Cristo quando il Senato di Roma conferì il titolo di "Augustus" a Gaius Iulius Caesar Octavianus consegnandogli l'imperium proconsulare maius.
Fu poi quasi totalmente ricostruito un secolo e mezzo dopo grazie alla volontà dell'imperatore Adriano in seguito all'incendio che quarant'anni prima l'aveva semidistrutto. Ovviamente venne rinnovato nel pieno rispetto delle prime volontà di Augusto, ossia di nuovo seguendo le medesime regole tecniche e architettoniche espresse nel «De Architectura».
Il Pantheon è senza dubbio uno dei pochi monumenti al mondo che racchiude in sé i segreti del Cosmo. L’altezza interna dell’edificio è esattamente pari al diametro della cupola cioè quarantatre metri virgola quarantaquattro centimetri e questo sta a significare che all’interno del Pantheon vi è inscritta una sfera perfetta la quale è inserita in un cilindro alto come il suo diametro ed inoltre all’interno di questa sfera è possibile inscrivere un quadrato perfetto. Il tutto costituisce un’armonia perfetta all’intera costruzione. Ecco che abbiamo ciò che costituisce la forma stabilita dall’architettura vitruviana ove: «una sfera perfetta è inscritta in un quadrato perfetto». Il rapporto costante tra il lato del quadrato inscritto nel cerchio e dal diametro del cerchio inscritto nel quadrato porta alla cosidetta proporzione matematica contrassegnata dalla lettera Phi (φ) quella che comunemente si chiama «sezione aurea» (o proporzione divina) alla quale in natura rispondono tante forme naturali che assumono conformazioni meravigliose come possono essere i petali di una rosa oppure le spirali delle conchiglie e nell’universo le spirali delle galassie.
Veniamo ora alla cupola, con la sua caratteristica apertura circolare (l'oculo), è un esempio notevole d'ingegneria romana, e le conoscenze di Vitruvio sulla resistenza dei materiali e sulle tecniche costruttive furono fondamentali per la complessa realizzazione. In sintesi, il Pantheon non solo incarna i principi vitruviani, ma s'avvale "di fatto" anche delle tecniche enunciate dallo stesso nei suoi scritti.
Il portone d'accesso è alto circa otto metri ed è largo quattro e mezzo. Le due ante di bronzo, sono le più antiche e pesanti ancora in uso a Roma, pesano circa sette tonnellate ciascuna. La serratura del portone e le chiavi hanno più di duemila anni.
Sulla volta della cupola ci sono dei "lacunari" (cassettoni) disposti in file di ventotto ciascuna. Anche il numero ventotto non è a caso in quanto è considerato un numero perfetto poiché composto da due e otto ossia il due rappresenta la dualità, mentre l’otto rappresenta l’infinito. Inoltre il numero ventotto è dato dalla somma dei primi sette numeri (secondo la famosa "sequenza" che Leonardo Fibonacci pubblicherà nel 1202 nella sua opera "Liber Abaci" il sette è considerato il numero perfetto dai pitagorici, che si ritrova in ogni circostanza). Sette sono i colli di Roma, sette i re di Roma, sette le meraviglie del mondo, sette i giorni della settimana, sette le note musicali, sette i pianeti. Inoltre: è vero che gli anelli a cassettoni della volta sono cinque, però vi sono anche quello che circonda l’oculus e l’oculus stesso: il totale è sette.
Veniamo al grande Oculus che s'affaccia verso il cielo, come la strada d’accesso in direzione del divino: il mondo degli dei a cui solo ai grandi personaggi della Roma antica era consentito accedere dopo la loro morte tramite l’«apotheosis» (ossia la glorificazione e in molti casi la divinizzazione).
Questa stupefacente ideazione architettonca difficilmente spiegabile e replicabile, perfettamente intatta nella sua struttura da tempo immemore, è frutto di un inseme di visioni architettoniche che ancora oggi “sanno di sovrumano”: l’oculo al centro in cima alla meravigliosa volta è un’apertura perfettamente circolare del diametro di nove metri che inonda l'interno di luce naturale, creando un'atmosfera magica e senza tempo, maestoso capolavoro d’ingegneria, architettura e simbolismo. Un capolavoro che ancora oggi lascia i visitatori a testa insù senza fiato.
Durante il solstizio d'estate, il raggio di sole che vi entra forma un disco di luce perfettamente circolare sul pavimento: a mezzogiorno del 21 giugno di ogni anno da oltre due millenni, il sole (se non è coperto dalle nuvole) penetra perentorio all’interno proiettando un fascio di luce che illumina lo stupendo disegno di figure geometriche (in cui sono iscritti alternativamente cerchi o quadrati più piccoli, formando una straordinaria opera artistica fatta di porfido, giallo antico, granito e pavonazzetto) proiettando un cerchio luminoso e un “effetto lente” che impercettibilmente si sposta verso il fulcro del pavimento, perfettamente pendente tutt’intorno verso il “chiusino” fatto da ventidue piccoli fori di scolo (dell’acqua piovana) quasi invisibili tra i decori. Dopo circa sessanta minuti quel fascio di luce diventa un cerchio di nove metri esatti di diametro, perfettanemte speculare all'oculo sopra (di identica misura), focalizzando perfettamente il "fulcro" del pavimento del Pantheon.
Dopo la caduta di Roma anche questa meraviglia dell'edilizia capitolina fu quasi completamente devastata e saccheggiata. Cadde in stato d'abbandono finchè nel 609 fu donato dall’Imperatore bizantino Foca a Papa Bonifacio IV. Il pontefice lo consacrò dedicandolo a Santa Maria ad Martyres, e vi fece trasferire dalle catacombe le spoglie di anonimi martiri tanti da riempire ventotto carri. Il riferimento ad una schiera collettiva cristiana fu voluto dal Papa in contrapposizione all'antica dedica pagana a tutti gli dèi di Roma. Nel 1980 il Pantheon venne ufficialmente dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO.