GLI ODORI DELLA CITTÀ ETERNA di Claudio Di Giampasquale
Ogni città ha i suoi odori caratteristici, le metropoli di più. Molto semplicemente per il fatto che sono più grandi e abitate. E quando dico odori, non mi riferisco solo ai profumi di cose buone che non sono pochi, quando camminando per le vie e i vicoli ci si imbatte nei panifici che hanno appena sfornato il pane, o davanti ai ristoranti, alle paninerie e alle pizzerie, alle pasticcerie, ai bar che profumano di caffè e poi quando si entra nei parchi e nei giardini dove l'erba è stata appena tagliata e gli alberi sono appena fioriti. E si potrebbe scrivere una lista infinita di esempi di buoni odori che allietano la nostra sensibilità olfattiva. Tuttavia le grandi città in non pochi punti si distinguono anche per effluvi d'altra natura, sorgenti maleodoranti spesso sconosciute alle nostre narici, olezzi disgustosi, fetori e tanfi terribili e non servono le doti sensoriali di Jean-Baptiste Grenouille per non rimanerne disgustati. Insomma: croce e delizia questo offrono gli odori ai nostri nasi raccontandoci le città e le metropoli come New York, Londra, Parigi, Berlino, Barcellona, Amsterdam, Atene, eccetera, eccetera, eccetera. Naturalmente anche Roma, non meno di tutte
le altre.

Per quanto riguarda la città eterna, ad esempio, m'accontenterei di creare una mappa storica di odori, più che dichiarare la "formula prima" di specifici afrori. Senza distinguerli dai profumi o dalle puzze. Semplicemente odori che ci comunicano una città dai mille volti e dalle mille contraddizioni. Il loro transito, il loro invecchiamento, piuttosto l'evanescenza, la permanenza, la stratificazione in oltre duemila anni. E qui il catalogo è già immenso nel personalismo dei ricordi. Ad esempio, l'odore di piscio dei sottopassi di Porta Pia che ha sostituito quello dei vecchi vespasiani ellittici e ai separè che grondavano acqua rigeneratrice. Quella degli angoli dietro Campo dé Fiori luoghi di beoni che mingono a non trattenere. L'odore ancora in formazione del primo mattino sgombro di smog a smontare da turni di notte, l'odore della stazione, dei vicoli muffiti, l'odore dello strutto di certe rosticcerie, l'odore dei polli arrotati al fuoco degli spiedi, l'odore della glassa fuori dai cornettari notturni, quelli anticipati da macchine in doppia fila e quelli segreti dietro vetri illuminati e serrande abbassate retroilluminate dal mattino che s'è svegliato. L'odore del pane di Roscioli a via dei Chiavari e del forno Mosca a via Candia, l'odore di caffè e di cappuccini a piovere nei rioni, a via Cola di Rienzo, a piazza dei Mirti o da Tazza d'oro ar Pantheon. Gli odori delle signorone che escono per strada tutte vaporizzate d'essenze, o gli odori dei papà e delle mamme che accompagnano i figli a scuola e intasano coi loro macchinoni o i loro scooters le vie attigue sentendosi ancora pischelli e vestendosi come i loro figli. L'odore degli anziani con cappotto alla naftalina. Gli odori e le puzze dei mercati Andrea Doria, via Catania, Cola di Rienzo, i tanfi terrificanti del mercato Esquilino, con tanti poveri cristi che a fine giornata raccolgono scarti di frutta e di verdure gettati a terra in attesa degli scopini. L'odore dello smog e in quello stesso posto, l'odore del glicine in un'altra ora. E così il ciclamino, i gerani, le ortensie. L'odore di villa Borhese, di villa Pamphili, di villa Sciarra, di villa Ada e se continuo a scrivere di ville romane riempio la pagina. Ma chi ci'ha tutto stò verde come noantri a Roma?
E poi ci sono gli odori delle stagioni, dell'acqua che scorre e dell'acqua stantia. L'odore di chi lavora, del ciabattino, del falegname, eccetera, eccetera. L'odore delle zingare nella metro. L'odore dei pakistani e dei bangla nei loro negozi sempre aperti. L'odore dei meccanici e le loro officine, delle pompe di benzina. L'odore dei taxi. L'odore sempre più raro della carta dei giornali. L'odore della spazzatura. Gli odori nella metro e negli autobus. L'odore dell'incenso dei preti ...e quale città brucia così tanto incenso? Roma ha la bellezza di oltre novecento chiese e se allegoricamente le esalazioni del loro incenso che sale verso l’alto, metafora viva della preghiera a Dio, si concentrassero tutt'insieme, formerebbero una fumareccia del tipo quella dell'alba 19 luglio 64 avanti Cristo.
Eppoi l'odore dell'alba, della varecchina a lavare per terra le case e gli uffici, i ministeri, luci accese prima dell'avvio dei pc. E poi ancora l'odore di caffè nelle macchinette a gettone, perchè a Roma ci piace troppo sentire l'odore del caffè una marea di volte al giorno, ma solo dall'alba a tarda mattinata. Poi vogliamo quello dei sughi, dei panini, dei toast, del salato, delle bistecche sulla brace. Pure chi stà con la sola insalatina a dieta vuole sentire odori così. Poi nel pomeriggio non più, ci serve altro per tirare fino a sera. Sono rimasti in pochi quelli che a mezzogiorno possono permettersi le gambe sotto il tavolino di casa, come si faceva una volta. Oggi quasi tutti pranzano fuori, chi più chi meno.
E poi al Pigneto, a Torpignattara a Bastoggi, alla Garbatella, alla Serpentara, a certi vicoli di Monti, ancora odoracci, il piscio di gatto, le merde di cane e tutte le puzze che si fondono all'odore del caffè e del sugo che sale sulle trombe delle scale. L'odore dei soffritti delle case dei cinesi all'Esquilino, di curry e altre spezie, dell'olio che frigge dall'alba al tramonto nelle padelle.
E poi tutt'intorno alla stazione Termini odori di spezie africane e urina rinsecchita e lenzuola imputridite da sudore e pioggia. Dispersi a raggiera: motel, hotel, pensioncine daily-use. E nelle vie tutt'intorno alla stazione escrementi, profumi dozzinali, accattonaggio, cartoni, vino in cartone, profumi meno dozzinali, scaffali vuoti e vetrine con una scarpa sola, money-transfer, museo di antichità romana, odori "pregiati", rovine. Dopo i lavori per il Giubileo và un pò meglio, ma quanto durerà?
Via Gioberti, qui si dorme a poco prezzo in compagnia di gemiti e abissi odorosi, sciacquarsi il volto nel bagno piccolo, sporco. Puzzo di spurgo, fetore lancinante che risale dalle tubature.
Metropolitana. Altro treno, dopo un giorno in treno. Fast-food e cibo etnico uniti in sinfonia imperscrutabile. Matrimonio dei sensi e degli odori. Mille voci, mille accenti, mille dialetti, mille lingue, mille aromi. Una babele transumante nella propria insofferente indifferenza. Tutt'attorno, globalizzazione olfattiva, ascelle acide, globalizzazione delle ascelle, ascelle non lavate ma "odorose" e avvolte da spettri di profumi costosi elargiti su carni prive di doccia: ancora peggio.
Turisti in canottiera tra metropolitana e piazza di Spagna, alchimia stordente, puntuti afrori, odori infernali. Un caldo infernale, creme anti scottatura, piedi in ciabatte, piedi al cloruro di potassio e solfato di magnesio. Spazzatura, sacchi neri. L'ama e le ditte in subappalto della raccolta dei rifiuti fanno del loro meglio, ma spesso non basta. Però s'impegnano rispetto a qualche anno addietro e questo i romani lo notano.
Ci sono luoghi a Roma talmente belli, colorati e odorosi di buono che sembra di stare in paradiso. Ci sono luoghi a Roma dove entrare è un grande azzardo, degenerazione purulenta che s'inarca tra i sensi, cadavere ma senza morte, o con la morte ma non umana. Carcasse di topo, di gabbiano, urina infetta e lasciata marcire. Urina come affresco intangibile penetrato nel marmo e sul selciato. Odori di travertino talmente lercio e intriso di zozzo che sembra impossibile poter sperare di farlo tornare com'era.
Ma più in là, tra il Tevere e Campo de’ Fiori, giù verso il Portico d’Ottavia, odore di buon pane fragrante, zenzero, cannella, pizza rossa che scrocchia e spande languore, caramello, carciofi gratinati, carciofi fritti, ciambellone caldo, cucine popolane con finestra aperta sul mondo. Il Ghetto è un posto con odori incredibili speciali, unici, meravigliosi. Sembra impossibile pensare che solo pochi decenni fa sia stato così barbaramente violato. Nell'odore del buio della notte ancora si sentono rimbombare sul selciato quei passi, quegli odori dei camion e delle motociclette e quelle voci incomprensibili e gli odori dell'adrenalina, della paura e della crudeltà, le urla di tutti quei romani piccoli e grandi, violati, derubati e deportati lontano dal loro fiume,
E sull’altro greto del Tevere, e sull'isola l'odore del guano dei gabbiani per strada e delle foglie marcite.
E poi il buon odore della pizza bianca e della focaccia di oggi. L'dore acre di polvere di faldoni e formaldeide dei due ospedali sull'isola, formalina di reperti, borotalco, saponi. Odore di chi viene al mondo in un clima di giubilo, odore della speranza di chi
vuole guarire, odore della paura e della sofferenza, odore cupo di chi non ce l'ha fatta. L'odore dei cari in visita.
E poi via da lì, serpente metallico inghiottito dall'oscurità iridescente, ventre di Roma, infiltrazioni acquitrinose, annunci radio sgangherati, in pessimo inglese. E poi di nuovo a Termini per cena: cumino, senape nera, via Giolitti, fieno greco, nigella, chiodi di garofano. Via Principe Amedeo, curry, curcuma, coriandolo. Via Rattazzi meglio allontanarsi.
E poi ancora più in là piazza Vittorio, via di Acqua Bullicante: pollo, zafferano. Via Anacapri: senape, paprika. Via Tor de’ Schiavi: un locale di scarse pretese e i suoi odori di scarse pretese, mangiare in silenzio, da soli, velocemente.
Sul tram 14, la Prenestina giù lungo la dorsale orientale di una città oleosa e poco pulita, carrelli spinti a zig zag tra i cassonetti della spazzatura, odori di aglio, cipolle, maiale arrosto: transilvania al crepuscolo. Sottopassi riverniciati di graffiti e pessima musica techno, rapper di Centocelle, provincia di Bucarest. Viale Palmiro Togliatti: plastica, crack, con quel tanfo di plastica bruciata, gomma annerita e bruciata, preservativi inaciditi, foglie putride, fecali, escrementi, animali. Umani tornati allo stadio animale. E poi er Quarticciolo, il cielo s'è incupito. Dopo una notte placida a sentire gente fare sesso nella stanza accanto, ci si alza dal letto, ciancicati come calzini dopo una settimana di lavatrice, sbadiglio, un caffè alla turca: sa di merda, odora di merda, forse è merda.
E poi altrove a volo pindarico su una metropoli immensa, quei quartieri e quei rioni con gli odori gradevoli l’orizzonte delle ville urbane, pollini a spasso nel vento, che volano sul Circo Massimo fino alle rose rosse e bianche sul parco alle pendici dell'Aventino, e poi ancora più su sopra l'arancio di San Domenico su quel buco della serratura in vista su un’alba di Roma. Er cuppolone, i campanili, le altane, i tetti delle vecchie case, i cori gregoriani, i gabbiani. L'odore dolce della città sacra e quello acre della città profana. Odori e fumigante bellezza d’assoluto, raccoglimento liturgico, panche, legno, anche la solitudine, qui tutto ha senso e un suo odore. Odore e silenzio, pace, dignità. Un'altra dimensione senza ansia. I marmi, l'alabastro, l’assenza, con i suoi odori insondabili. E poi ancora fuori, l'odore dell'adrenalina dei turisti che arrancano con le mappe di Roma in mano, perchè devono vedere, scoprire, conoscere, odorare il più possibile questa città. I turisti emaciati che in soli due giorni s'illudono di vedere ciò che non basterebbe una vita per comprenderne appena l'uno per cento. Roma è troppo più grande delle loro aspettative, troppo estesa e immensa dei loro buoni propositi, e allora a un certo punto cedono e anelano il momento di una gricia, o una carbonara o una cacio e pepe. L'odore della cucina romana che in certi posti certo non è cucinata da cuochi romani. Un cuoco romano non aprirebbe mai la propria cucina di pomeriggio. Ma i turisti non conoscono le nostre usanze e vogliono gustare e odorare la cucina romana a tutte le ore. Anelano l'ora di sedersi e odorare quei ristoranti turistici con le cucine sempre aperte. Roma è troppo vasta è immensa meglio sedersi e mangiare, assaporare, odorare.
Eppoi l'odore sublime delle gelaterie e delle pasticcerie romane, la libidine dei maritozzi con la panna freschissima di Regoli allo Statuto, di Romoli al quartiere africano, di Andreotti sull'Ostiense. Il muraglione a picco su via Marmorata, odore di muschio e di pioggia, evanescenza d'una città prismatica, riflessa dai vetri e dalle pozze, genuflessa nel suo patetico presente, nella sua grande ed eterna bellezza, nella sua apocalisse in dissolvenza. Una città unica al mondo cinta di colori ...e di odori.
Quando il Principe pubblicò nel 1992 l'album bellissimo intitolato "Canzoni d'amore" all'interno c'era questo pezzo "Tutto più chiaro che qui" una meravigliosa poesia che racconta di una Roma vista da una prospettica originaria e arcaica e rimasero tutti come sempre spiazzati, quando Francesco De Gregori osò cantare che ci sono luoghi e sguardi nei quali "tutto era più chiaro". Chissà Roma che colori e che profumi aveva allora.