LA "BELLA EPOQUE" ROMANA di Claudio Di Giampasquale

Dopo che Roma divenne di fatto capitale, il commercio iniziò a operare sotto le leggi del Regno d'Italia che promuovevano l'instaurazione di un'economia di libero scambio che permettesse la libera circolazione di merci, servizi, capitali e manodopera a livello nazionale, con l'obiettivo di modernizzare il paese e competere con le potenze europee. La città eterna in quell'epoca non aveva regole mercantili adatte per il nuovo ruolo, il sistema dello scambio delle merci esisteva ancora principalmente secondo le leggi e i regolamenti pontifici, con un'economia principalmente agricola e qualche attività artigianale. 

In sostanza, Roma ancora non possedeva l'infrastruttura e gli apparati amministrativi adatti ad essere il baricentro commerciale del Regno d'Italia. Fu la prima legge per l'adeguamento urbanistico insieme ad altri interventi normativi successivi e adeguati finanziamenti che consentirono l'avviamento d'un lungo processo di riorganizzazione del commercio romano che partì dall'inizio del Novecento, crescendo e sviluppandosi vorticosamente ma confusamente a Roma dagli anni Venti sino alla metà degli anni Trenta quando l'economista francese Alain Raynal coniò nel 1935 il termine «terziario» per far ordine e distinguere il commercio, il turismo, l'artigianato, i servizi, i trasporti, le comunicazioni e i servizi finanziari dagli altri due settori «primario» e «secondario» comprendenti l'agricoltura, allevamento, l'industria e la produzione in serie di materiali tangibili, eccetera. La crescita del terziario fu sostenuta a Roma da investimenti in infrastrutture e nei trasporti e con il grande sviluppo del sistema bancario.

Verrà in seguito nei tempi moderni con l'avvento di internet e lo sviluppo dell'hi-tech il «terziario avanzato». Nel terzo millennio seguirà quindi la nascita d'attività sempre più sofisticate. Il terziario ancora oggi è la colonna portante dell'economia romana.

principio e crescita del commercio nel cuore di roma

Torniamo agli albori d'inizio Novecento e al trentennio successivo. In quell'epoca dopo lo spostamento dell’intera macchina della gestione amministrativa centrale aumentò il numero dei residenti, di conseguenza si fece pressante l’esigenza di nuove abitazioni. Fino ad allora a Roma esisteva una società rigidamente gerarchica suddivisa in clero e nobiltà ossia l'élite governante, seguiva l'alta borghesia con non pochi proprietari terrieri (la maggior parte dei quali comunque erano patrimonio delle famiglie nobili romane). E poi la vasta maggioranza del popolo, composta da operai, artigiani, contadini e mendicanti.

In ogni caso, nella Roma pontificia il clero occupava una posizione di potere assoluto, gestendo il potere temporale e spirituale, mentre la nobiltà romana e l'alta borghesia mantenevano monopolio, privilegi e influenza economica.

Al di sotto la classe popolare era assuefatta e caratterizzato da condizioni di precarietà economica e sociale, nonché in molti sobborghi e rioni, di povertà e miseria. Ora, divenuta italiana e con il nuovo prestigioso ruolo di capitale del Regno, nell'urbe stava sempre più attecchendo una nuova classe sociale, il «ceto medio».

Si trattava d'una tipologia di gente appartenente alla cosiddetta "media borghesia" che si trasferì a Roma per motivi professionali da ogni parte d'Italia e del mondo. Un'impressionante moltitudine di persone composta prevalentemente da funzionari amministrativi, impiegati con ruoli dirigenziali, diplomatici rappresentanti delle proprie nazioni nelle tante amabasciate e consolati, intellettuali, giornalisti, politici, impiegati, professionisti di vario genere, eccetera. Insomma la popolazione residente nella città eterna, nel nuovo ruolo di capitale d'Italia arrivò ad aumentare vorticosamente di numero. Tutti nuovi borghesi e medio-borghesi con reddito medioalto e intermedio e una casa da abitare.

Fu un vero e proprio boom economico-sociale caratterizzato da una rapida espansione della città, e soprattutto delle attività economiche che richiesero l'immediato ausilio d'una rigorosa regolamentazione commerciale. Furono istituite le "autorizzazioni amministrative" (licenze) ossia documenti ufficiali rilasciati dal Comune di Roma per autorizzare l'apertura e la gestione di ogni attività e tutti i tipi di negozi e di mezzi di trasporto pubblico.

Fu un vero e proprio boom economico-sociale caratterizzato da una rapida espansione della città, e soprattutto delle attività economiche che richiesero l'immediato ausilio d'una rigorosa regolamentazione commerciale. Furono istituite le "autorizzazioni amministrative" (licenze) ossia documenti ufficiali rilasciati dal Comune di Roma per autorizzare l'apertura e la gestione di ogni attività e tutti i tipi di negozi e di mezzi di trasporto pubblico.

Tutto il centro storico di Roma divenne "terra di conquista" nonché polo d'attrazione per il commercio. Iniziarono ad assumere le attuali prestigiose funzioni di scambio prodotti e servizi gran parte delle piazze, vie e vicoli dei rioni in particolar modo piazza di Spagna, via del Corso, via dei Condotti. Ma tutto il centro in pochi decenni divenne una destinazione di prim’ordine per gli amanti dello shopping e della moda, un luogo dove il glamour delle grandi firme internazionali d'inizio e primi decenni del Novecento si intrecciò con l’autenticità dei mercati tradizionali e la maestria dell’artigianato locale. In non molto tempo Roma divenne un’esperienza indimenticabile per ogni visitatore.

C'erano una volta i magnifici negozi e salotti romani

Una città in cui si respirava storia, arte e stile. Un luogo magico in cui la ricerca del bello e l’eleganza sembravano elementi innati, quando al Tritone c'erano i «Fratelli Serrini» ed Armando da gran signore serviva la sua clientela sempre in maniche di camicia di seta. Eppoi al Corso c'era quell'altro gran signore del pettine e dell'acconciatura «Eusebio De Luca», sempre compito e gentile tra un sorriso e una battuta, era il parrucchiere di Elena di Savoia e ci teneva a far sapere a tutti che era nato in Abruzzo una terra illustre di artigiani, nel cui salone di bellezza spesso si ricordava e si chiacchierava di Gabriele D'Annunzio reporter di caccia alla volpe alla Pineta Sacchetti ancor prima delle sue esperienze di "estetismo" nonché di scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista. Il buon Eusebio nelle sue eleganti e femminee movenze e la sua voce aggraziata, muovenze del pollice della mano sinistra mentre manteneva il dito medio fermo per per un taglio preciso, stimolava tra le clienti presenti un'accesa partecipazione al dialogo e alle chiacchiere femminili capitoline d'alto rango che tra tagli e voluminose acconciature, non disdegnavano di ciarlare a proposito di tutto: pettegolezzi, prime di teatro, cronache recenti sui quotidiani, fulgidi ritagli di storia e arte, di armi e d'amori. Ebbene con l'esimio Eusebio De Luca si poteva ben dire che a Roma gli abruzzesi non furono in quell'epoca soltanto zampognari.
L'inizio del ventesimo secolo, in particolare il periodo dalla fine del 1800 fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, retrospettivamente verrà chiamato con nostalgia dagli storici francesi "Belle Époque" per ricordare un'epoca percepita come felice e spensierata, segnata da un grande ottimismo verso il progresso. Ebbene, anche la vita del nuovo ceto medio di Roma era caratterizzata allora dalla fiducia per lo sviluppo economico, scientifico e tecnologico, per la fioritura culturale, nonché per la propensione al divertimento. Tutto ciò in contrasto con le catastrofi che seguiranno pregnava l'aria che si respirava nel centro di Roma. Piazza di Spagna, piazza del Popolo, piazza Colonna e via del Corso e tutte le altre piazze, piazzette, vie e vicoli dei rioni Campo Marzio, Trevi e Colonna, pullulava il mondo, tra i tanti negozi famosissimi, purtroppo dolorosamente scomparsi, s'incrociavano uomini e donne elegantemente vestiti alla moda dell'epoca. Giravano a piedi e in carrozza turisti da ogni dove tra cui famosi intellettuali e artisti, del calibro di Johann Wolfgang von Goethe, Italo Svevo, John Keats, Luigi Pirandello, Percy Bysshe Shelley, Giovanni Verga, Vasilij Kandinskij, Trilussa, eccetera, eccetera. Molti eminenti personaggi "forestieri" facevano parte del «Grand Tour», un lungo viaggio culturale intrapreso dall'aristocrazia europea e non solo, destinato a "perfezionare il proprio sapere", il quale aveva una durata non definita e che di solito aveva come destinazione chiave l'Italia ed in particolare la città eterna.
Nell'affascinante percorso di compere nel centro della nuova capitale del Regno d'Italia, si vide una transizione significativa nella moda, con la liberazione del corpo femminile dal corsetto e l'emergere di stili più fluidi e ispirati a correnti artistiche come l'Art Nouveau. Fu in questo periodo che fece la sua prima comparsa il tailleur. E poi s'affermò la cosiddetta “manica a prosciutto” sempre molto stretta sull’avambraccio, con un volume che si ampliava dal gomito alla pala, dove era talmente increspata da superare la linea delle spalle. Le gonne persero ogni accenno di rotondità sui fianchi grazie all’abbandono delle vecchie sottostrutture armate, di cui erano state regine la crinolina e la tournure, lasciando spazio alle sottogonne in tessuto, che diedero volume principalmente all’orlo della gonna, introducendo la cosìdetta “linea ad A” ossia una silhouette aderente in alto che si allarga gradualmente verso il basso, formando una forma simile alla lettera "A", un taglio versatile in grado di dar pregio all'armonia del corpo femminile, attribuendo attrattività a non poche corporature, valorizzandone il punto vita, e nascondendo discretamente fianchi e cosce in modo armonioso. 
Anche per quanto riguardava gli uomini cominciarono a vedersi i primi cambiamenti. Alla marsina e alla redingote si andò sostituendo una giacca più corta, che arrivava fino al fianco e con il davanti arrotondato. I pantaloni diventarono più larghi e pratici rispetto al periodo precedente. I cappelli più in auge rimasero il cilindro e la bombetta. A differenza dell’abbigliamento femminile, nell’abbigliamento maschile vennero usati soprattutto colori scuri con l’obbligo del nero per le occasioni serali, in contrasto con il bianco delle camicie, all'epoca caratterizzate dallo "sparato" nella parte frontale dell’abbottonatura, e dal colletto alla coreana o con piccole punte ripiegate sul davanti in modo da non coprire l'adorno della cravatta o dell’ascot. Anche le scarpe erano principalmente di colore nero, rischiarate dalle ghette, in alternativa alle quali si indossavano gli stivaletti abbottonati sulla parte esterna del dorso del piede. Infine, l’abbigliamento del gentiluomo della "bella epoca romana" era completato dal bastone e dai guanti scuri.
I cambiamenti furono inizialmente promossi dall'alta moda e dalle élite, che influenzarono le tendenze e ispirarono i sarti, anticipando le trasformazioni che avrebbero raggiunto un pubblico più ampio attraverso le magnifiche esposizioni nelle vetrine dei negozi. Naturalmente Roma, quella Roma, non resistette al fascino di quei cambiamenti epocali della moda. Le giovani donne ma anche molti ragazzi iniziarono a emigrare dalle zone rurali, soprattutto dal Sud Italia, anche verso la capitale dove le sartorie offrivano nuove opportunità di lavoro, sottraendole alla servitù domestica. Molti di loro impararono l'arte con enorme passione e dedizione dimostrarono un'immensa predisposizione alla creatività Fu da allora che la sartoria divenne uno dei mestieri più ambiti e prestigiosi. Perchè a Roma l'esigenza del bello aumantava sempre più, esattamente come aumentava il ceto medio. 
Nacquero le prime sale cinematografiche fu la Sala Iride al Corso, aperta da Giuseppe Cocanari. Poi venne la sala "Cinematografo Artistico Italiano" in via Celsa. Poi da allora, nei decenni immediatamente successivi ne aprirono tante altre. Era l'epoca del film muto, arrivarono stars che fecero sognare gli spettatori romani, come Harold Lloyd, Mabel Normand, Rodolfo Valentino, Mary Pickford, Charlie Chaplin. Nella seconda metà degli anni Venti apparì anche sugli sugli schermi capitolini la divina attrice svedese Greta Garbo, l'algido angelo che fece innamorare milioni di uomini. 
Le sale da tè romane d'inizio secolo, in particolare quelle di stile inglese erano un'alternativa di lusso ai non pochi prestigiosi caffé e contribuirono a diffondere la tradizione dell'"afternoon tea romano" diventando anch'esse punti di ritrovo per intellettuali, artisti e personaggi di spicco. 
A via Condotti si radunò l'élite dei migliori negozi cittadini, salotti dove non tutti i romani in quell'epoca potevano permettersi d'entrare per fare acquisti. A via dei Prefetti e a S. Maria in Aquiro gli empori di Tebro e Capparoni da buoni mercanti qual'erano consigliavano sapientemente le loro stoffe toscane, lombarde, di Parigi e le lane di Biella e Berlino, ed i primi cachemire d'oriente. Al Corso c'era il negozio di moda maschile Ousset. Dirimpetto la pellicceria di Alfredo Pavia. In via Capo Le Case l'atelier Forneris. In via del Tritone la grande esposizione di Cohen ossia i primi "grandi magazzini" ove tra voragini di stoffe e biancheria vi lavoravano nel retro sarti e sartine ed apparivano i primi vestiti su misura. Le cappellerie del centro, tra cui Troncarelli in via della Cuccagna nei pressi di piazza Navona, Radiconcini al Corso, Giovinazzi all'Argentina, esponevano in vetrina i loro bellissimi modelli di cappelli, guanti e bastoni da passeggio. Nacque tra i benestanti un forte nazionalismo. 


MANCA L'ULTIMO PARAGRAFO CHE HO SCRITTO A CHIUSURA PEZZO