IL RACCONTO DE "LA BUCA" AL PORTUENSE di Claudio Di Giampasquale
Chi è cresciuto o chi abita al Portuense, conosce quest'area del quartiere densamente popolata, formata da palazzi che sorgono in una depressione orografica sotto la zona di Vigna Pia, racchiusa tra via Portuense e via della Magliana. Non tutti conoscono l'origine del curioso nome con cui si distingue: «la Buca». Due ripide discese collegano la parte alta di via Cucchini al dedalo di vie in basso ove al centro si apre piazza Puricelli. Ecco l'interessante racconto che ha originato la nascita di questa porzione del quartiere Portuense, partendo dal contesto urbano ove situata.
IL QUARTIERE PORTUENSE
«Portuense» è l'undicesimo quartiere dell'urbe, le sue vie e piazze vengono indicate nelle targhe toponomastiche in marmo o metallo con la sigla Q. XI. È fra i primi quindici sorti in seguito all'ampliamento urbano iniziato nei primi decenni dopo la proclamazione di Roma a capitale. Nacque ufficialmente con la delibera sulla toponomastica decretata venerdi 16 Dicembre 1921 dalla giunta del sindaco Giannetto Valli successiva a un primo tracciamento effettuato nel 1911 per i soli effetti statistici e anagrafici. Prese il nome dalla principale arteria viaria che solcava la sua campagna, un'antica consolare costruita nel primo secolo dopo Cristo per collegare la città eterna al porto dell'imperatore Claudio sulla foce del Tevere, oggi il mare si trova a circa tre chilometri da lì. Il vasto quartiere si estende dal Gianicolense sino alla Magliana e alla borgata del Trullo (all'epoca della delibera della giunta Valli detta borgata Duca D'Aosta).
Si sviluppò gradualmente nei decenni successivi alla guerra, in particolar modo negli anni del boom economico. Intorno ad antichi plessi, residenze rurali sparse quà e là in quella campagna romana, e alle prime costruzioni abitative e ai grandi poli ospedalieri del Ventennio, dagli anni Cinquanta furono edificati innumerevoli palazzi e palazzine, scuole, chiese, negozi, parchi, cinema, eccetera eccetera. Insomma Portuense divenne un "quartiere con tutti i crismi" che rispondeva ad esigenze e possibilità di ogni ceto sociale. Con al suo interno zone di edifici e complessi popolari, altri con caratteristiche e costi per cittadini della medio-borghesia, alcuni assai eleganti prerogativa della borghesia benestante come ad esempio la zona dei Colli Portuensi e non solo.
La buca
Tra i diversi plessi meno moderni e antichi che ci sono in questo quartiere e che meritano ognuno un approfondimento specifico, c'è una zona denominata «la Buca» che si estende in una depressione nei pressi di «Vigna Pia» ove nel 1850 sorse per volere del pontefice Pio IX un grande edificio quadrangolare destinato a "istituto agrario di carità per orfani in età da lavoro" affidati alla Congregazione della Sacra Famiglia (quest'edificio che per oltre un secolo ha avuto diverse destinazioni si può ancora oggi ammirare integro entrandovi in via Filippo Tajani 10 oppure veder svettare da ponte Marconi alzando lo sguardo verso la collina sul Tevere lato ex-cinodromo).
Ebbene nell'attuale toponomastica, la zona de «la Buca» (più o meno quadrangolare) è precisamente compresa tra la fine di via Giuseppe Belluzzo, via Enrico Cruciani Alibrandi, via Anselmo Ciappi e via Amilcare Cucchini. È un'area sviluppatasi prevalentemente con palazzi di edilizia popolare che formano un dedalo di vie, al cui centro si apre piazza Piero Puricelli. Fin qui nulla "fuori dall'ordinario" rispetto a tante altre zone della vastissima area di Roma. Ma c'è un racconto che rende "la Buca" un posto non comune, mi riferisco all'origine della depressione orografica rispetto a tutte le altre zone che la circondano, un racconto che farà capire perchè questa zona viene chiamata così.

il forte portuense e la vicina polveriera
Con la proclamazione a capitale Roma divenne il baricentro politico e militare della neo nata Italia. Su consiglio di governo, re Umberto I emanò nell'agosto del 1877 un decreto che aveva come oggetto appunto la difesa del nuovo baricentro amministrativo nazionale. Escludendo la costruzione di un’altra cinta muraria si pensò di difenderla, circondandola al di fuori delle mura aureliane con un "campo trincerato" composto da quindici «fortezze» e, sia all'interno che all'esterno dei bastioni aureliani, da tutta una serie di strutture e reparti difensivi, batterie militari, depositi d'armi e mezzi, caserme (sia per l'esercito che per tutte le forze d'ordine). I lavori di costruzione per completare il nuovo articolato presidio difensivo di Roma, durarono circa diciotto anni. Per meglio conoscere tutti i complessi che ne facevano parte ecco un'interessante documento redatto da Orazio La Greca e da Pierduilio Maravigna per conto della Società Geografica Italiana di Villa Celimontana che ne pubblicò un bollettino dal titolo: «Strutture militari a Roma. Funzioni e spazi nel contesto urbano».
Tornando ai quindici «forti » (che costituirono il "pezzo forte" della strategia di difesa umbertina di Roma capitale) essi furono ubicati a circa quattro chilometri dalle mura aureliane ed a circa tre chilometri tra loro, eccoli elencati tutti. Con il Regio decreto del 1 novembre del 1882 si stabilì che la denominazione di essi venisse applicata secondo «un ricordo storico, un celebre nome, cioè o della strada o della collina, o del casale, o della tenuta dove sorgono”.

ll Forte Portuense realizzato tra il 1877 e la fine del 1881 per un costo di settecentotrentatremila lire. Fu dismesso nel 1977 su richiesta dei comitati di quartiere.
Il «Forte Portuense» (ubicato appunto sulla via Portuense) con la vicina "polveriera", faceva parte delle quindici fortificazioni umbertine. L'adiacente ampia struttura di deposito polveri a disposizione sia del Forte Portuense che degli altri quattordici forti dislocati intorno all'urbe. Era adibita alla custodia di munizioni, esplosivi, micce detonanti ed altri materiali esplosivi, ed era denominata «Polveriera di Monteverde» in virtù del fatto che all'epoca, quella zona dell’agro romano era indicata (dai tempi del "catasto alessandrino" del diciattesimo secolo) come
“Valle di Monteverde”. La polveriera poteva contenere al massimo duecentotrentatremila chilogrammi di esplosivo.
L'ESPLOSIONE DELLA POLVERIERA DI MONTEVERDE
Era la mattina di giovedi 23 aprile 1891. Nei primi mesi di quell'anno erano entrati nel deposito polveri nella valle di Monteverde, nei pressi del Forte Portuense, troppi materiali esplosivi rispetto ai limiti tecnicamente consentiti, una quantità pericolosamente oltre misura.
La politica e l’economia italiana di quell'epoca erano fortemente minacciate dalla grave crisi e dalle tensioni sociali causate dall'insuccesso coloniale in corso. Ottantasette giorni prima, il 31 gennaio, il secondo governo di Francesco Crispi era caduto sfiduciato dalla Camera dei deputati e il re aveva incaricato di formare un nuovo provvisorio governo all'avvocato Antonio Starabba marchese di Rudinì. Nelle settimane che erano seguite il nobile palermitano dovette affrontare gravi crisi e tensioni, perchè sin da subito propose una politica conservatrice, il cui obiettivo consisteva nel reprimere con la forza tutte le proteste popolari, senza riconoscerne la legittimità e discriminando ogni forma di protesta sociale, anche perché l’ascesa del socialismo e del comunismo marxista stava determinando una paura crescente nella destra storica. Dall'ultima settimana di marzo sino a quel giovedi la polveriera romana stipò una quantità smisurata di polveri, polvere di confisca, casse di inneschi, spolette per mortai, fucili Lebel, pistole Very, bombe a mano, granate, razzi da segnale, codette da spolette, stoppini, micce, cannelli elettrici, cannelli a vite, cannelli fulminanti, inneschi, fuochi d’artificio, eccetera, eccetera. Insomma, immagazzinò un'impressionante e rischiosa "santabàrbara", oltre duecentottantamila chilogrammi complessivi, cioè centoquarantamila oltre il previsto limite.
Ebbene, quel giovedi primaverile romano del 1891, il ventiduenne caporale del dodicesimo reggimento bersaglieri Domenico Cattaneo era capoguardia di turno alla Polveriera. Verso le cinque e quaranta del mattinino il giovane sentì degli strani rumori che provenivano dai piani interrati, istintivamente avvertì che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Rapidamente dalle viscere della terra si stavano propagando rumori mai sentiti, tonfi sordi, piccoli scoppi, uno strano picchiettio. Improvvisamente un suo compagno d'armi a sentinella dei depositi interrati rimontò terrozizzato in superficie spalancando in preda al panico la porticina di ascesa. Il ragazzo urlava a squarciagola che alcuni materiali esplosivi s'erano improvvisamente innescati. Venne immediatamente allertato l'ufficiale di turno il capitano Pio Spaccamela un valoroso ed esperto geniere che sei anni prima aveva partecipato alla prima spedizione italiana in Africa orientale, in qualità di capitano. L'esperto quarantaduenne Spaccamela era già in piedi, alzatosi all'alba per recarsi a Porta Portese per degli studi di aggiornamento. Inquadrò all'istante il dramma in corso e il rischio dell'imminente catastrofe. Non c'era un istante da perdere, ordinò l'allarme e in tempi rapidissimi ottimizzò al meglio le risorse umane a disposizione disponendo in un batter d'occhio le squadre d'allerta. I militari terrorizzati corsero temerari col cuore in gola presso il maggior numero di edifici e casali circostanti e il vicino collegio della Congregazione della Sacra Famiglia dove si stavano svegliando tanti ragazzi. Tutti compresero che non c'era un istante da perdere per salvare il salvabile. A donne, bambini, ragazzi e anziani venne ordinato d'allontanarsi il più possibile dalle loro case in direzione opposta della polveriera. Fu bloccata in ambedue i versi la via Portuense. Il tutto accadde in un lasso di tempo breve tuttavia angoscioso e interminabile.
Il valoroso ufficiale Pio Spaccamela rimasto solo nell'edificio di deposito polveri, noncurante della propria vita pur di tentare di evitare la catastrofe, decise senza esito di tentare una coraggiora operazione di disinnesco. Dopo un'ultima velocissima constatazione di esser rimasto lì solo decise di aprire la porta d'accesso a quei magazzini soterranei da dove arrivavano i crepitii sempre più sinistri e prolungati. Si calò rapido nei meandri ma a un certo punto però, trovò un'ulteriore porta di passaggio sbarrata, si girò per tornare in superficie a cercarne le chiavi, ma fu un attimo e passò una vampata di fuoco, avvenne l’immane deflagrazione con un boato spaventoso che fu udito fino alla parte opposta di Roma, ai Castelli Romani e sulla costa. Il povero Pio Spaccamela lì proprio nel nucleo del disastro nell'eroico tentativo di evitare il disastro, fu trucitado.
Tutta la popolazione di Roma e dintorni non rendendosi conto della natura dell’accaduto e sgomenta per lo schianto di cose e vetri in frantumi e per la coltre di fumo che aveva invaso la città, si riversò terrorizzata nelle vie e nelle piazze.
I quotidiani dell’epoca per giorni riportarono la notizia e soprattutto si parlò dei danni provocati alle persone e alle cose, ci furono diverse vittime e centinaia di feriti, nonché ingenti danni non solo nelle tenute confinanti con la polveriera, ma anche nella città di Roma. Il vicinissimo collegio di Vigna Pia subì notevoli danneggiamenti e si contarono centotrentotto ragazzi colpiti dallo scoppio. Il Re Umberto fu tra le prime autorità che si recarono immediatamente sul posto.
Furono ingenti le devastazioni provocate tutta quell'area dell'agro romano sui casali e i vari edifici, ci furono molti danni anche in zone più lontane. Tra le tante, colpirono quelli nella basilica di San Paolo dove si frantumarono le vetrate delle navate esterne; nella chiesa di Santa Passera crollò il muro di destra; nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola al centro di Roma si squarciò la tela di Andrea del Pozzo (restaurata soltanto nel 1963); nei Palazzi Montecitorio e Madama oltre alle vetrate frantumate si scoprirono delle crepe. Vennero menzionati anche altri danni, di non minore importanza. Il tutto da promuovere una campagna di solidarietà sia per le vittime, sia per le persone coinvolte, sia per per il restauro architettonico.
Dove c'era l'edificio di deposito polveri andato completamente in macerie, si era formato un enorme cratere. Tutt’intorno lo scenario rimase come lunare per decenni, un enorme cratere. Alla fine degli anni cinquanta e con il boom economico iniziò la costruzione del quartiere e la riqualificazione di quello scempio. I palazzinari vi costruirono un intero agglomerato di edifici, proprio lì nella depressione formatasi dopo quella terribile esplosione. Questo racconto spiega il perchè questa zona del quartiere Portuense, ancora oggi viene soprannominata «la Buca».