LA FABBRICA DI SOGNI IN VIA ROCCAGIOVINE di Claudio Di Giampasquale

C’era una volta in zona Tiburtina poco prima dell'imbocco sul GRA, la società editrice "Lancio", ovvero una fabbrica di sogni d'amore che fece sospirare diverse generazioni di donne italiane. L'epoca dei fotoromanzi s'antepose al "romanzo a fumetti" e ne prese d'emblée il sopravvento nelle edicole, tant'è che tutte le altre case editrici del genere s'adeguarono alla nuova forma di narrazione. Il colpo di genio della casa editrice romana fu proprio quello di sostituire i disegni con fotografie in serie che costituivano la base del racconto, scattate su vari set simili a quelli cinematografici. Nonché, la "Lancio" affermò molti volti di bell'aspetto che interpretavano storie a metà tra la staticità del fumetto e la mobilità del cinema, con intriganti racconti d'amore quasi sempre a lieto fine, rivolti al pubblico femminile attraverso una letteratura rosa strutturata appunto per immagini. 

Il fotoromanzo è un tipo di racconto figurato su carta in cui i personaggi sono rappresentati da persone reali. Il racconto è costituito da fotografie commentate da didascalie e battute di dialogo. Sebbene la casa editrice "Lancio" abbia chiuso i battenti nel 2011 e il pubblico del fotoromanzo sia notevolmente diminuito rispetto al passato, questo genere di lettura cartacea continua ad esistere e ad essere proposto e apprezzato da una limitata fetta di fedelissimi. Nel corso dei recenti decenni la vendita dei fotoromanzi ha subito un fortissimo declino, di pari passo alla crisi delle edicole, determinato dall'avvento e l'affermazione sociale di internet e i suoi nuovi media che con un modello "peer-to-peer" orizzontale basato sulla partecipazione e creazione di reti sociali attorno a interessi comuni, permette lo sviluppo di più moderne e fruibili forme d'intrattenimento. La società è cambiata e il "sorpassato" fotoromanzo, che in passato rappresentò le aspirazioni e i sogni di un'epoca, ha faticato ad adattarsi ai gusti d'un pubblico più moderno, giovane e diversificato. Tuttavia, nonostante il declino non è completamente crollato e uscito di scena. Comunque, ancora in questo terzo millennio mantiene il suo fascino e continua a far parte del panorama editoriale italiano. Pur essendo limitato a prodotto di nicchia rispetto al suo glorioso passato, esso ancora vive.

La tecnica rotocalcografica 

Ma partiamo dalle origini, ossia dalla nascita del metodo di stampa che consentì la nascita e lo sviluppo di questo sistema narrativo di "photographic visual storytelling". Nel 1895 l'artista grafico boemo Klíč Klietsch ideò e mise a punto la tecnica della «rotocalcografia» che nel corso della prima metà dello scorso secolo si sviluppò nell'ambito tipografico-editoriale ed anche in altri settori come quello del packaging industriale, eccetera. In sostanza questo procedimento di stampa viene effettuato con macchine dotate di bobine che ruotano ed è utilizzato ancora oggi prevalentemente per la stampa di periodici ad alta tiratura, cataloghi, riviste illustrate e in generale stampe su carta di poco spessore.

Inoltre la rotocacografia è usata anche per la stampa su film plastici o metallici, ad esempio per stampare sugli imballaggi flessibili per alimenti, sulla carta da regalo o da parati. Il sistema è semplicissimo ed è compatibile con un’ampia varietà d'inchiostri, che devono essere scelti in base al tipo di supporto di stampa sia su carta di diversa grammatura, che su plastica e metallo. 

Nascita del "Fotoromanzo italiano", Roma replica a Milano

Nel dopoguerra, nel settore tipografico-editoriale, il fotoromanzo rappresentò un'evoluzione del romanzo a fumetti. Era il 1946 quando fu fondato in via Stresa a Milano il primo rotocalco "Grand Hotel" che proponeva cineracconti o cineromanzi, ovvero storie melodrammatiche e romantiche realizzate a fumetti e così chiamate perché s'ispiravano a film italiani e statunitensi, tant'è che in copertina comparivano gli attori e attrici protagonisti. Il nuovo genere e soprattutto la rivista riscossero grande successo nelle edicole di tutt'Italia Italia e così l'anno successivo Roma rispose alla città meneghina con un rotocalco dello stesso genere, "Il mio Sogno" (che poi divenne "Il Sogno) che tra gli altri, alla fine degli anni Cinquanta, vide lavorare in redazione il giovane Dario Argento, futuro regista. In particolare, su queste due testate, furono pubblicati quelli che poi diverranno noti come fotoromanzi, ovvero dei cineromanzi nei quali i disegni erano sostituiti dalle fotografie che riproducevano le diverse scene funzionali al racconto della trama. Dall'Italia poi il genere "rotocalcografico" si diffuse in Francia, in Spagna, in Portogallo, in Grecia, in Belgio, nei Paesi ispanoamericani e in Brasile.

Damiano Damiani è considerato il padre del genere in quanto diresse i set in cui vennero realizzati i fotoromanzi della rivista «Il mio sogno». Sul periodico uscì, l'8 maggio 1947 il primo vero e proprio fotoromanzo, scritto e ideato da Stefano Reda (pseudonimo di Fulvio Gicca Palli). La testata aveva come sottotitolo "Settimanale di romanzi d'amore a fotogrammi" (non appariva ancora la parola fotoromanzo) ed era edita dalla Editrice Novissima di Roma, di proprietà di Giorgio Camis De Fonseca, socio della Rizzoli. «Il mio sogno» si componeva di dodici pagine in bianco e nero. Ogni numero conteneva due puntate di fotoromanzi intervallati da racconti e rubriche ed era venduto al prezzo di 20 lire, gli autori dei soggetti erano Stefano Reda giovane giornalista appassionato di letteratura e Luciana Peverelli scrittrice affermata di romanzi rosa, "Nel fondo del cuore" di Stefano e "Menzogne d'amore" di Luciana che videro come protagonista tra gli altri una bellissima ventunenne, un certa Giana Loris (pseudonimo di Gina Lollobrigida). 

L'egemonia della casa editrice "Lancio"

Negli anni Sessanta si calcola che circolassero un milione e seicentomila copie di fotoromanzi, il divismo ad essi collegato divenne addirittura lo sfondo narrativo di alcune opere cinematografiche. Furono gli anni che videro l'affermarsi della casa editrice «Lancio» nata inizialmente come società di pubblicità nel 1936 per opera di Arturo Mercurio. Fu nel 1969 che questa intraprendente azienda fece il grande salto, rilevando l'editrice "Il Sogno" dedicandosi esclusivamente alla produzione di questi “cineromanzi” (come si chiamavano all’epoca), affiancando a questo periodico le riviste "Letizia", "Charme", "Marina", "Kolossal" e molte altre, e preparando il terreno per l’incredibile boom editoriale degli anni Settanta. Erano i tempi del "miracolo economico" il periodo che trasformò il paese portandolo a un benessere sociale senza precedenti ed a un irrefrenabile desiderio soprattutto da parte dei giovani di seguire nuovi modelli sociali, estetici e di moda. I fotoromanzi, alla pari della televisione e del cinema, divennero una finestra sul mondo, alimentando sogni e aspirazioni che spronarono ad abbandonare gli abiti tradizionali e indossare quelli rappresentati dalle sempre bellissime attrici, minigonne e l'uso di cosmetici, al fianco di uomini rappresentati da attori sempre più belli e affascinanti.

Nel 1976 la tiratura delle varie case editrici raggiunse in Italia la quota di oltre otto milioni e seicentomila copie al mese, di cui cinque milioni mensili vendute dalla sola Lancio. Fu un business enorme per l'azienda romana che nel frattempo s'era spostata negli stabilimenti di via Roccagiovine sulla Tiburtina a due passi dall'imbocco sul Grande Raccordo Anulare, posizione strategica per far partire i propri corrieri verso le edicole di tutta la penisola. Lì erano ubicati gli studios, le macchine rotative e la sede amministrativa. Paragonando tale volume d'affari, costituito da "atomi" ripetto ai "bit" di oggi, si potrebbe benissimo dire che l'editrice Lancio fu mezzo secolo fa, l'antenata dei player digitali che dominano la produzione di contenuti di intrattenimento di oggi come Disney, Warner, Paramount, Universal, Sony, Netflix, eccetera. Inoltre l'editrice "Lancio" oltre a pubblicare milioni di fotoromanzi, lanciò sul mercato altri prodotti editoriali a fumetti che spopolarono ovunque, come Lanciostory, Skorpio, e tanti altri. I fotoromanzi Lancio sino all'avvento di internet e dei social media, furono alla portata di mano di tutti, reperibili ovunque, si leggevano in casa, dal parrucchiere, dal proprio medico, si scambiavano tra amici, avevano prezzi accessibilissimi e soddisfavano pienamente quel largo bisogno di “evasione” soprattutto all'epoca negli anni bui del terrorismo, ma anche nei più brillanti anni Ottanta e Novanta. Diversi attori protagonisti della "Lancio" ebbero successo nel cinema e in televisione. Attorno alle edizioni prodotte sulla Tiburtina girava un vero e proprio Star-System. 

L'irresistibile fascino di Franco Gasbarri

Aveva una straordinaria capacita d'essere naturale in tutto ciò che faceva e credibile in tutti i ruoli che interpretava. Era un ragazzo provvisto di  tutti gli attributi d'un ipotetico Adone: antico dio greco simboleggiante la bellezza maschile. L'altezza di un metro e novanta, un fisico asciutto e muscoloso, un viso bellissimo simmetrico che presentava tratti ben definiti con la mascella, mento e fronte proporzionate armoniosiamente nel rispetto matematico della "sezione aurea"; occhi verdi espressivi che sembravano usciti da un dipinto, capelli castano scuro fluenti, un sorriso capace di illuminare, un portamento e una grazia naturale che colpiva profondamente chiunque; una dizione educata, lenta, chiara, con una voce profonda marcata da una lieve erre moscia che gli conferiva nel parlare un'aria nobile. La sua fotogenia era tecnicamente ineguagliabile con resa espressiva che rendeva assolutamente perfetti tutti i personaggi che interpretava. Tra gli attori di fotoromanzi della Lancio, Franco Gasparri fu senza dubbio quello che ebbe in assoluto maggior successo e popolarità. Fu il vero sovrano del variegato regno dei fotoromanzi.

Idolo delle teenagers ed anche di donne più grandi senza limiti d'età, il senigalliese Gianfranco Gasbarri divenne presto un’icona. Pur non abbandonando mai il mondo dei fotoromanzi, divenne protagonista anche sul set cinematografico nella fortunatissima trilogia di "Mark il poliziotto". Roma lo adottò, abitò per anni nel rione Campo Marzio con la sua adorata moglie Stella Macallè che aveva una famosa boutique in via della Croce. La coppia ebbe due figlie Stella (come la mamma) e Luna, nate rispettivamente nel 1975 e nel 1978. Erano una famiglia felice. Purtroppo proprio all’apice della gioia e della prosperità, mentre la sua folgorante carriera varcava i confini nazionali, la fortuna girò le spalle a quella splendida famiglia. Mercoledi 4 giugno 1980 mentre Gianfranco si stava recando a bordo della sua Kawasaki 900 Z1 sul set di una delle storie in cui era protagonista, il destino gli fece un tremendo scherzo. Nella location a Formello lo aspettavano tutti, il regista Brunetti, il fotografo Cavicchia, e tutto il cast d'attori, la maggior parte di loro erano arrivati lì col pulmino della Lancio. Ma Gianfranco non arrivò mai. Dopo ore si seppe del terribile incidente sul Grande Raccordo Anulare. Fu uno schock per tutti. Aveva trentadue anni, era nel fiore della vita. Una diagnosi impietosa, lesione alla colonna vertebrale, paralisi totale. In un attimo, la carriera si fermò, i riflettori si spensero, il silenzio prese il posto degli applausi. Molti scomparvero, ma lui no. Chi gli fu vicino racconta d'un uomo che non ha mai smesso di lottare, per sé, per le sue figlie, per sua moglie. Per la dignità. Visse il resto dei suoi giorni in condizioni pietose ma con una luce interiore che chi lo frequentò in quelle condizioni ancora ricorda con emozione.  E forse, nel profondo, il suo cuore non smise mai di lottare contro la nostalgia di ciò che era stato. Eppure, nonostante questo sconvolgente epilogo, c’è qualcosa di straordinariamente bello nella sua storia. Perché non è solo il mito di un volto perfetto, di un’icona del passato. È la dimostrazione che la vera forza è quella che resta quando tutto il resto scompare. Che la vera bellezza non si spegne con la giovinezza o con la fama, ma continua a vivere in chi trova la forza di non arrendersi. Franco Gasbarri ha rappresentato la resilienza silenziosa, la grazia nella fragilità, la dignità nel dolore, dimostrando che le storie più profonde non si riconoscono sui volti, ma si leggono nel cuore.  Franco Gasbarri morì domenica 28 marzo 1999 in un letto dell'ospedale San Carlo di Nancy sulla via Aurelia, a seguito d'un'improvvisa crisi respiratoria, dopo quasi diciannove anni vissuti nella più totale immobilità.

Colpisce una sua frase rilasciata in una intervista e pubblicata dal giornalista Alessandro Castellani sul sito dell'Ansa, vent'anni dopo la sua morte. Gianfranco disse questo: «Quando un uomo sta male e vede la sua vita stravolta, nel suo intimo si accende una luce. Io ero bello, ricco, famoso, spensierato, pieno di speranze e progetti, felice. A un tratto tutto questo è finito. Ma è stato in quel momento che il mio animo ha cominciato a vedere e a capire cose che prima non apprezzavo e delle quali non tenevo alcun conto. Per questo posso dire alla gente di apprezzare di più le piccole cose che offre la vita, di accontentarsi, di tollerarsi l’un l’altro. La vita è un passaggio molto rapido, viviamola con serenità».