"LA FONDAZIONE DI ROMA"poesia di Cesare Pascarella, narrata dalla voce di Dino Buazzelli

Quest'opera è una rappresentazione ironica e popolare della fondazione della città eterna. Una magnifica poesia che mette in luce la storia di Roma attraverso una lente inaspettata e umoristica. L'autore, Cesare Pascarella, grande artista eclettico e multiforme, nonché ironico e introverso, nacque nel rione Campo Marzio il 28 aprile 1858. I suoi genitori Teresa Bosisio e Pasquale Pascarella gestivano una tabaccheria in via Laurina. D'animo inquieto, incline alla solitudine, Cesare sin da ragazzo amava compiere lunghe passeggiate o attraversare la sua amata Roma a bordo delle tradizionali ‘botticelle’. Lo scrittore romano Giorgio Vigolo raccontò di lui: «La posizione di Pascarella di fronte al dialetto è sostanzialmente un'altra cosa da quella del Belli che con il dialetto raggiunge uno strato di profondissima immedesimazione. Il livello di Pascarella è una fusione che si ferma ad uno strato appena subacqueo, come la disposizione bonaria d'una persona colta a parlare col popolo».

Cesare ha scritto una marea di opere letterarie. Questa splendida poesia  anziché concentrarsi sulle classiche leggende mitologiche, immagina Romolo come un personaggio astuto che sceglie il luogo della città con cura, valutandone i vantaggi e le potenzialità, e cercando di attribuirsi il merito della sua fondazione. Pascarella descrive la scelta del luogo della fondazione come un processo ragionato, dove il protagonista valuta attentamente i benefici del terreno, come la pianura, i monti, l'acqua, e la vicinanza a luoghi di villeggiatura come Albano, Tivoli e Marino. Ironizza sulla leggenda della fondazione, suggerendo che Romolo abbia approfittato della situazione e della mancanza di concorrenza per "inventare" la città. Il poeta utilizza il dialetto romanesco per rendere la sua poesia più vivace e autentica, trasportando il lettore nell'atmosfera della Roma popolare e verace. In sintesi, quest'opera è un'interpretazione divertente della nascita e combina elementi storici e leggendari con il linguaggio e lo spirito ironico e scanzonato tipico dei romani. Eccola narrata dalla voce del grande attore frascatano Tino Buazzelli, la musica di sottofondo è dell'arpista Lavinia Meijer. [Claudio Di Giampasquale]

Quelli? Ma quelli, amico, ereno gente Che prima de fá un passo ce pensaveno. dunque, si er posto nun era eccellente, che te credi che ce la fabbricaveno? A quelli tempi lì nun c'era gnente; Dunque, me capirai, la cominciaveno: Qualunque posto j'era indiferente, La poteveno fá dovunque annaveno. La poteveno fá pure a Milano, O in qualunqu'antro sito de lì intorno, Magara più vicino o più lontano. Poteveno; ma intanto la morale Fu che Roma, si te la fabbricorno, La fabbricarono qui. Ma è naturale.  Qui ci aveveno tutto: la pianura, Li monti, la campagna, l'acqua, er vino... Tutto! Volevi anná n 'villeggiatura? Ecchete Arbano, Tivoli, Marino. Te piace er mare? Sòrti de le mura, Co' du ‘zompi te trovi a Fiumicino. Te piace de sfoggià' in architettura? Ecco la puzzolana e er travertino. Qui er fiume pe' potécce fa' li ponti, Qui l'acqua pe' poté' fa' le fontane, Qui Ripetta, Trastevere, li Monti... Tutte località predestinate A diventà' nell'epoche lontane. Tutto quello che poi so' diventate. E lui che già ce stava a la vedetta Pe' fabbricalla, nun vedeva l'ora De comincià'. Si qui nun se lavora, Lui pensava, n'antr'anno che s'aspetta, Se la potemo pure tené' stretta; Viè' quarche e forestiere da defora, Vede er posto, se sa, se n'innamora. E, ar solito, ce fa la cavalletta. E bada, dico, sai, che nun sia mai Roma l'avesse fatta un forestiere, Pe' noi sarebbe stato brutto assai. Tu ce ridi? Ma intanto er padre Enea, Ch'era er padre de tutti li trojani, Nun venne a sbarcà' qui co' quel'idea? Si venne a sbarcà' qui, su la spianata De Civita la vigna co' Didone, Che sarebbe Didone abbandonata, Quel era er suo perché de la ragione? Era che lui ci aveva l'ambizione, Na vorta che l'avesse fabbricata, De poté' di' davanti a la nazione: Roma? So' stato io che l'ho fondata! E come ce rivò ce mésse mano; Ma, nun pratico, vecchio, sbajò er sito, E se perse la strada sotto Arbano. E così ce rimase co' la voja. E vedi che fu tanto invelenito Che agnede fora e diede foco a Troja. Ma Romolo che insomma c'era nato, Quello, me capirai, per quanto sia, Sapeva er punto de la giografia Der sito dove avrebbe fabbricato. Per cui subito ch'ebbe ridunato Er popolo co' quela simpatia Der tatto de la sua diplomazia, Piano piano, senz'esse esagerato, Je fece: Dice, è inutile che famo, Tanto, sapete, dice, un antro sito Mejo de questo qui nu' lo trovamo; Percui, dice, io me fermo e in quanto ar resto, Come sarebbe a di' la fondazione, Fece, er progetto mio sarebbe questo. Prima de tutto che se vadi piano; Perch'io, prima de tutto, ordino e vojo Che ogni cosa che noi mettémo mano Se finisca, si no nasce un imbrojo. Per conseguenza, dunque, in mezzo ar piano, Dove che sorte fora quelo scojo, Io direbbe de fa' er foro romano. Sopra je ce se mette er Campidojo. Vor di' che poi, si a loro je piace De fasse er Coloseo, l'arco de Tito, La Rotonna, le Terme, er Tempio in Pace E tutto er resto, noi tutto er lavoro Che famo se lo troveno finito; Ar resto poi ce penseranno loro.