LA MICIDIALE "POZIONE" DI GIULIA TOFANA di Claudio Di Giampasquale

C'è una macabra leggenda sopravissuta al passare del tempo, che si perde intrecciandosi tra fantasia, realtà e confusione. Accadde nel diciassettesimo secolo tra la Roma pontificia e il Regno di Sicilia. Un turpe mito che da circa quattrocento anni mescola elementi reali con supposti fantastici e immaginari. Un intrigante racconto tramandato oralmente e per iscritto di generazione in generazione, e non si può non rimanere affascinati dalla figura della protagonista che divenne "simbolo della violenza domestica e della disperazione delle donne dell'epoca del cosiddetto secolo di ferro”.

ASTUZIA, FREDDEZZA E CINISMO DI UNA SERIAL KILLER DEL SEICENTo
C'era una volta una bella artigiana maestra nell'uso degli alambicchi e nella realizzazione di distillati e pozioni, o meglio c'era una volta la storia di una bella "fattucchiera" siciliana che determinò la morte di oltre seicento persone. Il suo nome era Giulia Tofana. 
Visse del diciassettesimo secolo e si narrano diverse versioni della sua vita ed è anche incerto di chi fosse realmente figlia. Credo che il racconto più attendibile, che s'avvicina alla realtà dei fatti è questo qui di seguito, che ho rielaborato cercando d'essere il più stringato possibile, mettendo insieme una serie d'elementi raccolti in varie pubblicazioni storiche, mescolandoli con un pizzico di fantasia narrativa . Diverse altre versioni pubblicate nel corso degli anni, parlano di un'orfana poverissima proveniente dai bassifondi palermitani e poi di tutte le sue malefatte, stranamente venendo meno d'evidenziare la non comune scalata sociale della ragazza, successivamente al suo trasferimento nella città dei Papi, anche grazie all'istruzione ivi ricevuta prima d'iniziare la sua incredibile avventura imprenditoriale come
"venditrice di morte".

L'INFANZIA E LA GIOVINEZZA PALERMITANA DI GIULIA
La storia iniziò in modo scontato, quasi per gioco, la passione per gli alambicchi e con una maestria tramandatale da sua madre, donna Tofania d'Adamo distillatrice, che fu giudicata e riconosciuta pericolosa criminale dal "Tribunale del Real Patrimonio", di conseguenza giustiziata tramite impiccagione in pubblica piazza a Palermo il 12 luglio 1633, l'accusa fu d'aver avvelenato il marito Francesco presunto padre di Giulia, un uomo violento, perennemente ubriaco.
Giulia nacque proprio a Palermo nel 1609 nel
"quartiere del Capo" dov'era il mercato, il Monte di Pietà e dove avveniva il commercio degli schiavi. Venne al mondo in una casa situata sopra al fiume sotterraneo "Papireto" che nasceva dalla depressione di Danisinni e scorreva verso il mare, interrato artificialmente il secolo precedente alla sua nascita per costruire gli edifici del quartiere centrale. 
La giovane Giulia (in cui "scorreva nelle vene lo stesso sangue di sua madre" nonché aveva la stessa bellezza, lo stesso carattere) aveva differenti ambizioni rispetto alla defunta genitrice. A tal proposito, avrebbe portato avanti lei quello che sua mamma cominciò tempo prima. Ma lo avrebbe fatto con una strategia diversa.

IL TRASFERIMENTO A ROMA, LA SISTEMAZIONE E GLI STUDI DELL'ARTE SPEZIALE
L'astuta Giulia, per dimenticare e rifarsi una vita lontano dai numerosi occhi indiscreti palermitani, dopo un breve soggiorno a Napoli, si trasferì a Roma. Aveva solo ventiquattro anni. Era una "donna sola", ma non nel senso negativo del termine, era semplicemente "non accoppiata" a nessuno. (all'epoca non s'usava il termine "single"). Le disgrazie che l'avevano colpita, le avevano inaridito il cuore lasciandole brutte cicatrici nell'anima, nascoste dalla bellezza e dai modi di fare. Convertì il poco denaro ereditato (denari spagnoli) in valuta pontificia (il sistema monetario dello Stato della Chiesa nel Seicento era più complesso: c'erano il giulio, il paolo, il baiocco, e il denaro papalino) e con quei soldi trovò un allogio in via dei Serpenti nel rione Monti, ove allestì anche il suo laboratorio di distillazione. Per socializzare proficuamente e farsi un giro di conoscenze nella città dei Papi, cercò di frequentare persone che avessero la sua stessa passione per gli alambicchi, con le quali scambiare idee ed esperienze, ma soprattutto per migliorare la cultura che sua mamma le aveva trasmesso quasi per gioco prima dei tristi e sordidi fatti che coinvolsero la sua famiglia. Iniziò a frequentare alcuni componenti della "corporazione degli speziali" che si radunavano nella vicina "Chiesa di San Lorenzo de' Speziali" in Campo Vaccino nell'antico Foro Romano ove aveva sede il "Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Universitas Aromatoriarum Urbis". S'iscrisse e frequentò con impegno gli studi. S'acculturò in chimica farmaceutica e nell'arte delle spezie, in modo decisamente approfondito, tenendo nascosta a chiunque la sua passione per i veleni, il cui apprendimento delle prime nozioni aveva ereditato da sua mamma. 

LO SCENARIO SOCIALE IN CUI SI SVILUPPA QUESTA STORIA
Giulia sentiva che la direzione del progetto di vita che aveva in mente avrebbe fatto la sua fortuna. In più era una donna bella, spigliata. corteggiata, libera, autonoma e svincolata. L'ultima cosa che desiderava era quella di trovarsi un marito e, benchè incline a un'occasionale eterosessualità con uomini ricchi e potenti prevalentemente "per campare" (Giulia giudicava in generale i maschi ricchi assai stupidi, invece quelli di basso ceto per lei non esistevano proprio). Lungi da lei la volontà di trovarsi accanto stabilmente un uomo che "le tarpasse le ali" nei segreti progetti e nelle ambizioni per il futuro, o comunque che la condizionasse anche minimamente nelle scelte e nelle opinioni. Insomma era un'ammaliante, ostinata e cinica "testarda".
Nelle conversazioni durante gli incontri nella Chiesa di San Lorenzo, amava ascoltare e sapere tutto dagli uomini, in particolar modo dagli eccelsi studiosi. A nessuno raccontava nulla di sè, della sua vita, del suo passato. Era impenetrabile. Questo, insieme al portamento fiero, alla caratteristica calata palermitana con la erre marcata, a una meravigliosa sicilianità costellata da splendenti sorrisi e alla sua naturale spigliatezza, la rendevano una donna unica e affascinante, "come una Venere", adulata e ricercata soprattutto nelle alte sfere sociali: banchieri, mercanti, nobili e il potentissimo clero. Giulia era una preziosa rarità nel diciassettesimo secolo. Bisogna infatti considerare la posizione delle donne dell'epoca (sia nello Stato Pontificio, che ovunque) che erano del tutto sottomesse agli uomini, fossero essi padri, mariti o protettori, i quali esercitavano sul gentil sesso un potere assoluto, fatto d'abusi d'ogni tipo, garantiti da un sistema normativo primitivo e punitivo. Così, se nelle classi sociali meno abbienti alle donne senza marito restava soltanto lo strumento del mercato sessuale per riuscire a sopravivere, negli ambienti agiati e aristocratici il destino delle donne dipendeva dal marito a cui venivano date in moglie: molto spesso uomini ben più anziani, indesiderati o violenti, pronti magari a ripudiare la propria compagna nel caso di una gravidanza non portata a termine o non finalizzata alla "produzione" di un erede maschio.
Dopo l'esperienza vissuta nella sua infanzia con un padre ubriacone e molesto che causò la reazione e la fine di sua madre, fu in questo sbilanciato scenario sociale che Giulia si rese conto che l'unica speranza per le donne, alle quali ovviamente non era concesso il divorzio, "nelle corti-prigione in cui vivevano", era quella di sbarazzarsi del marito, per diventare vedove e raggiungere così la tanto agoniata libertà. Nonché per mettere fine a una vita intera di abusi e sopraffazione. Giulia, insomma fu una vera "precorritrice del marketing", in giovane età individuò un vero e diffuso "bisogno". Fu attorno a questa leva che costruì il suo macchiavellico progetto di vita, curato minuziosamente in ogni particolare. Ovviamente il suo target era l'universo femminile insoddisfatto. Fu un'antesignana geniale e diabolica "project manager" del diciassettesimo secolo. Fu una donna senza scrupoli.   

«ACQUA TOFANA», IL POTENTISSIMO VELENO CREATO DA GIULIA
Terminati gli studi, Giulia iniziò alacremente nel suo laboratorio la messa a punto del suo micidiale prodotto. L'originaria ricetta dello strano intruglio che aveva inventato sua madre a Palermo fu il punto di partenza, ma andava migliorata, raffinata e corretta nella posologia, per ottenere un risultato eccellente. La fretta era una cattiva consigliera, ci voleva tempo e costanza. Solo così avrebbe ottenuto la "pozione perfetta" per ingannare chiunque, in particolar modo la medicina e la legge. S'esercitò a lungo nella sua bottega speziale, la creazione del composto richiedeva mano esperta, precisione nelle dosi e soprattutto una certa perizia nell'alambiccare la combinazione degli ingredienti. Tra le varie sostanze segrete si venne a sapere che vi erano: acqua distillata, arsenico, antimonio, succo di bacche e foglie di belladonna, eccetera.

Giulia sperimentò il suo "prodotto" quando fu certa d'aver raggiunto un risultato perfetto. Ne mise poche gocce su della carne e la diede da mangiare a due cani randagi, lo fece per una decina di giorni di seguito, con perizia e costanza, finchè al decimo giorno ottenne ciò che aveva sperato: «una sorta di morte naturale improvvisa, come un attacco cardiaco. Ovviamente senza sintomi evidenti d'avvelenamento tipo bava alla bocca o dolorosi spasmi». I due poveri cani-cavia s'adormentarono tranquillamente per non svegliarsi più. La pozione che la bella fattucchiera palermitana gradualmente ottenne nel tempo risultò un portento. Nessuno aveva mai creato un intruglio simile: un "elisir di morte" perfetto nel suo genere.

La mistura diabolica che Giulia gradualmente ottenne, aveva tre qualità fondamentali era: insapore, inodore e incolore. Per questo ne scelse il nome, con un doppio termine che riportava a lei "Acqua Tofana". Scelse come confezione una piccola ampolla di vetro e fece realizzare da una delle prime tipografie di Roma un'attraente etichetta che variava frequentemente con immagini di santi, per conferire maggior stima al prodotto.  Ne bastava una minimissima quantità per portare "lo sventurato preso di punta" alla morte in poco tempo, senza destar sospetti d'avvelenamento. Se lo sentiva, il suo spietato e mefistofelico spirito guida la indirizzò verso ogni azione concreta. Quella pozione sarebbe stata l'arma della sua scalata sociale e le avrebbe consentito d'arricchirsi senza più concedersi sessualmente a facoltosi e spesso ripugnanti individui.  Aveva le idee chiare. Mise a punto nella città eterna un minuzioso reticolato di relazioni sociali d'altissimo livello. Inizialmente i contatti preposti all'avvio della sua macchina commerciale partirono dalle più facili conoscenze maschili (grazie alla sua avvenenza) per poi concentrarsi scrupolosamente sulle loro consorti, madri, sorelle, parenti (donne) e amiche.  E Giulia ebbe sin da subito ragione. Dopo i primi "successi" (per non definirli omicidi mascherati) esplose nell'universo femminile abbiente un segretissimo passaparola. E così a Roma (per poi espandersi in diverse altre città) le clienti iniziarono a far la fila per ottenere anche una sola boccetta della sua pozione. Ciascuna "avventrice facoltosa" sborsò anche cento "doppie d'oro" per accaparrarsene un'ampolla. Mentre le comari di basso ceto, per ottenere una minore quantità di "Acqua Tofana" se la cavarono con un paniere di uova fresche e una pinta di farina. Con appena qualche goccia versata con regolarità e precisione nel vino o nella zuppa, ci si poteva liberare di parenti indesiderati e nemici in un paio di settimane, senza destare sospetti. Era necessario essere cauti se non si voleva finire sulla forca.  

LA SCOPERTA DEI SEICENTO OMICIDI
Trascorse un trilustre nel quale Giulia ebbe una figlia (senza sposarsi) che chiamò Girolama. Furono quindici anni in cui la donna s'arricchì in modo impressionante, allargando con collaboratrici fidate la sua catena segreta di produzione per soddisfare la grande richiesta che ormai proveniva da ogni dove, le sue aiutanti erano Giovanna de Grandis, Maria Spinola soprannominata "Grifola", Laura Crispolti, Graziosa Farina e c'era Girolama a dar loro una mano. Alla soglia dei quarant'anni, ancora forte della sua sensuale avvenenza, per necessità di maggiore spazio operativo, acquistò un palazzetto intero nel rione Monti e lì stabilì il suo quartier generale senza destar sospetti, cercando il più possibile di mantenere un profilo basso nei confronti dell'opinione pubblica. Lei per la gente era una semplice "artigiana alambiccatrice" che pagava le tasse, divenuta ricca grazie al commercio delle sue pozioni farmaceutiche sconosciute ai più. Nulla di sospettabile ...apparentemente.
Le cose però si complicarono intorno all'anno 1650, quando la "Contessa di Ceri", sua "cliente" per liberarsi del marito esagerò notevolmente con la misurazione e la tempistica della dose letale, utilizzando tutto il contenuto della boccetta acquistata in una volta sola e di conseguenza sollevando i sospetti dei parenti del defunto Conte. Avvertita appena in tempo della denuncia, Giulia fuggì dal suo palazzetto, e grazie all'aiuto del suo grande amico e confidente frà Girolamo si rifugiò nel Convento di San Lorenzo in Panisperna gestito dalle monache dell’ordine delle Clarisse. Delazioni varie portarono però ben presto le guardie pontificie a scovare il rifugio della bella Tofana, ormai famosa e ricercata in tutta Roma. Giulia fu dunque arrestata, imprigionata e torturata. La piena confessione rivelò che la donna, aveva venduto, soprattutto a Roma, in un periodo compreso tra il 1639 e il 1651 un numero impressionante di boccette sufficiente a uccidere oltre seicento persone. La fattucchiera palermitana fu quindi condannata a morte senza appello e giustizia dal "Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica" insieme a sua figlia Girolama e alle sue collaboratrici. Le sei donne furono giustiziate in Campo dé Fiori per mano della Santa Inquisizione, di fronte a migliaia di persone. Nei giorni successivi nella stessa piazza ci furono anche altre centinaia di "esecuzioni capitali" di tutte "le mogli assassine scoperte" e condannate dallo stesso tribunale. Non riuscirono a giustiziarle tutte perché le principali assassine protagoniste di questa sordida storia, nonostante le torture non confessarono tutti i nomi.

LE CONDANNE NON FRENARONO LA CIRCOLAZIONE DELL'«ACQUA TOFANA»
La ricetta della micidiale pozione venne trafugata e messa in circolazione, di conseguenza continuata a essere prodotta in segreto da altri profittatori e malintenzionati alambiccatori. Il pugno duro dell'Inquisizione non riuscì a stroncarne il traffico, che continuò imperterrito nei decenni seguenti, coinvolgendo donne in vista dell'alta società, come la Marchesa di Brinvilliers che avvelenò il padre e due fratelli prima d'essere giustiziata, Ancora nei secoli diciottesimo e diciannovesimo, l'«Acqua Tofana» era conosciuta, diffusa e temuta, al punto d'esser citata da Alexandre Dumas nel "Conte di Montecristo" pubblicato nel 1844.