UN FEMMINICIDIO NELL'ANTICA ROMA di Claudio Di Giampasquale

Uno degli esempi storici più eclatanti di "omicidio di genere" avvenuto nell'antica Roma, è rappresentato dal sintetico ma essenziale resoconto narrato da Publius Gaius Cornelius Tacitus (Tacito) nel quarto libro degli Annales. Accadde nell'anno 24 d.C. ossia mentre Gesù nella prefettura della Giudea era ancora in vita. Si tratta del caso della morte di Apronia una nobildonna figlia di Lucio Apronio senatore e console durante l'impero di Augusto, sposa del senatore e pretore Marco Plauzio Silvano.

Di questa donna non ci sono molte tracce storiche della sua vita, tranne i dettagli della triste fine e della vicenda giudiziaria che ne seguì. La vicenda di Apronia è appunto citata come uno dei primi casi di femminicidio della storia, ed effettivamente la sua morte suscitò all'epoca un'enorme eco, per quanto nell'antica Roma le donne non fossero considerate alla pari dell'uomo. Apronia era pur sempre una cittadina romana, nonché figlia d'un uomo in vista che aveva fatto carriera grazie al suo talento militare e ai rapporti amichevoli con Tiberius Iulius Caesar Augustus, il secondo imperatore di Roma.

Questi sono i fatti

La giovane donna Apronia, come detto moglie dell'influente Marco Plauzio Silvano, fu trovata senza vita all'esterno della propria domus ai piedi della finestra della sua camera al secondo piano, dalla quale evidentemente precipitò. Ad accorgersene fu la sua fidata "ancilla" che recandosi da lei per occuparsi della solita toeletta, non trovandola in stanza come sempre accadeva, s'affacciò perplessa alla finestra spalancata. Inorridita vide a terra il corpo della povera Apronia immobile circondato da una pozza di sangue. Urlò disperata, diede l'allarme ed accorsero tutti i presenti nella domus, compreso il padrone. Poi di sua iniziativa corse subito ad informare il potente padre della donna che immediatamente si recò sul posto e alla vista del corpo inerme della propria giovane figliola, dopo aver metabolizzato l'immenso dolore, immediatamente iniziò a sospettare del genero. Furente, senza perder un'attimo di tempo, con l'aiuto d'alcuni fidati "urbaniciani" lo fece scaraventare su un carro alla volta della "domus imperale Tiberiana" sul Palatino e lo trascinò davanti all’imperatore in cerca di giustizia. Marco Plauzio Silvano in stato d'evidente confusione, si dichiarò continuamente innocente ed estraneo ai fatti affermando che quando il crimine accadde, stava dormendo. Ipotizzò apparentemente disperato altre cause, tra cui quella che sua moglie si fosse suicidata. Per tutta risposta, l'imperatore che sin lì aveva solo ascoltato, vedendo il volto di Lucio Apronio prostrato e furente, s'alzò dal suo trono e dichiarò d'occuparsene personalmente. Voleva molto bene al padre della vittima, era molto grato per tutto ciò che in passato quell'uomo aveva fatto per lui. Scortato dai suoi pretoriani andò personalmente a casa di Marco Plauzio Silvano. Ispezionò ogni angolo, soprattutto nel piano superiore, e da uomo acuto, nonché bravo inquirente, rilevò nella camera di Apronia chiare tracce di violenza e di resistenza.

L'ipotesi del suicidio destò molti sospetti

La deposizione di Marco Plauzio Silvano non convinse nessuno e meno di tutti Tiberio, che con i propri occhi aveva visto chiari indizi d'una colluttazione nella stanza di Apronia. L’imperatore nell'osservare quelle tracce sin da subito capì che erano i segni della vemenza d'una violenta colluttazione e della disperata resistenza opposta dalla vittima. Da ciò dedusse l'energica spinta che la fece cadere nel vuoto. Ordinò ai suoi pretoriani di arrestare immediatamente il senatore Marco Plauzio Silvano e lo fece rinchiudere nelle carceri sotto il Campidoglio in attesa di giudizio. Pochi giorni dopo riferì il risultato delle sue indagini al senato il quale nominò prontamente i giudici del processo.

l'antico disonore della "damnatio memoriae"

Nel procedimento giudiziario nei confronti di Marco Plauzio Silvano "intervenne a gamba tesa" la potentissima e temibile Livia Drusilla Claudia madre di Tiberio, colei che fu la moglie dell'imperatore Cesare Ottaviano Augusto (il primo imperatore di Roma, predecessore di Tiberio) nonché Augusta dell'Impero. Livia Drusilla Claudia era  molto amica della nobildonna Urgulania, nonna di Marco Plauzio Silvano. Nel suo resoconto, il cronista Tacito insinuò che l'Augusta dell'Impero era a conoscenza dell’esito che avrebbe prevedibilmente avuto il procedimento giudiziario, ossia la disonorevole «damnatio memoriae» e conseguente decapitazione. Quindi informò l’amica. Pochi giorni dopo Marco Plauzio Silvano si vide recapitare un pugnale nella sua cella nel Carcer Tullianum. Capì che cosa gli si richiedesse di fare per evitare un processo infamante per sé e la propria "gens" tra l'altro imparentata con la potentissima dinastia giulio-claudia. Il suo corpo senza vita venne trovato nella cella, immerso in un lago di sangue. 

la riapertura del caso

Nei primi mesi dello stesso anno in cui sul Monte Calvario fuori dalle mura della città di Gerusalemme venne crocifisso Gesù, il complesso sistema giudiziario romano, attraverso alcuni pretori legati all'influente gens Giulio-Claudia, inaspettatamente riaprirono il procedimento giudiziario che quasi certamente avrebbe condannato alla decapitazione Marco Plauzio Silvano se prima non si fosse suicidato. Nel frattempo, tre anni addietro, nel 29 d.C. anche l'anziana Livia Drusilla Claudia morì sull'isola di Capri in seguito a una grave forma di malaria contratta nella sua sfarzosa villa a nord di Roma nella zona di  Prima Porta: suo figlio Tiberio per farla curare l'aveva fatta trasportare in quella meravigliosa isola di fronte a Neapolis ove la famiglia imperiale possedeva diverse proprietà. Aveva ottantotto annI.

Il nuovo processo si svolse nel Foro di Roma e vide come imputata una certa Fabia Numantina, prima moglie di Marco Plauzio Silvano, anch'essa nobildonna, ma discendente da una stirpe di altro lignaggio rispetto alla gens Giulio-Claudia: faceva parte della gens Fabia, era figlia di Paulus Fabius Maximus e di Marcia (a sua volta figlia di Azia minore e Lucio Marcio Filippo). Fabia Numantina era un'appassionata di magia ed esperta di "medicina popolare" che fu la base della farmacopea romana. Fabia era rinomata in tutta l'Urbe per le sue abilità nella composizione di pozioni  medicamentose per le quali utilizzava nella loro interezza o in parti specifiche, piante ed erbe, le loro radici, foglie, fiori.

L'accusa fu quella d'aver spinto l’ex marito ad uccidere Apronia, di cui lei era evidentemente gelosa, manipolandone la volontà con formule e filtri magici e droghe. Probabilmente così forse si potè spiegare lo stato di confusione mentale nel quale Marco Plauzio Silvano rispose al primo interrogatorio dell'imperatore Tiberio.

L’ «accusa di incantamento» nell'antica Roma era spesso mossa (prevalentemente contro le donne) ed accusava d'usare pratiche volte a influenzare la realtà o a interagire con entità soprannaturali. Quest'accusa nei confronti del gentil sesso era piuttosto frequente. Rifletteva probabilmente una remota diffidenza dell'universo maschile verso le segrete conoscenze femminili. Nonché una paura atavica dei mariti consapevoli che nell’uso delle erbe officinali, tra la medicina e l'arte della composizione dei veleni il percorso fosse molto breve.
Nel caso di Fabia Numantina si può pensare che gli eredi di Livia Drusilla, membri della gens Giulio-Claudia, la potenze famiglia di Marco Plauzio Silvano volessero riabilitare la memoria del defunto "presunto femminicida" scaricando tutta la responsabilità dei tragici eventi accaduti appunto su una donna di altra stirpe. Ma il reato fu praticamente impossibile da dimostrare, in mancanza di prove concrete. Nelle fasi finali del processo, dopo le discussioni e le repliche, Fabia Numantina venne assolta, senza che si potesse stabilire con certezza chi avesse veramente voluto la morte della povera Apronia.