"PASSÀ PONTE" di Claudio Di Giampasquale
L'origine di questo modo di dire, và ricercata nel fatto che le strade romane in quanto strette e tortuose, erano in grado d'offrire riparo dalle raffiche di vento invernale e dalle vampe di sole estivo. Nasceva quindi «er pregiudizio d'attraversà li ponti» per paura di buscarsi una pleurite oppure un'insolazione. In particolar modo i più titubanti furono i "delicati e sensibili" prelati e nobili, solitamente tendenti ad evitare il più possibile i guadi in quanto nei tempi che furono, c'era una concezione ben diversa delle distanze rispetto ad oggi e quindi rimanere su una riva del Tevere piuttosto che nell'altra significava esporsi il meno possibile sì alle intemperie stagionali, ma anche ad altre costumanze urbane, rischiose in certi rioni. Ma non furono questi i soli motivi d'irresolutezza dei romani a percorrere e oltrepassare i ponti sul fiume sacro per non incappare in qualche inconveniente, poichè anche i trasteverini, in special modo, fino alla prima metà dello scorso secolo, ebbero lo stesso pregiudizio, tanto da vantarsi «dé nun passà ponte» preferendo una vita isolata nella loro «isola urbana sotto ar Gianicolo, sur lato destro der fiume " e la conservazione del proprio tipico carattere romano e romanesco nella propria «trans Tiberim» (ovvero al di là del Tevere) che era già il nome antico della corrispondente "regione augustea", perché la città ebbe origine e si sviluppò sulla sponda opposta.
Ma il detto «passà ponte» a Roma ha altri significati. Il più noto è quello che si riferisce "a chi, presa una deciione, non può più tornare indietro". Ma non finisce qui, un altro significato è "cambiar bandiera" in senso politico o il più moderno "cambiar casacca" in senso sportivo. E poi, «passà ponte» ha una specifica origine nel detto "Mastro Titta passa ponte" che indicava l'esecuzione d'una pena capitale nella riva opposta del fiume, ove il boia stava dirigendosi. Inoltre «passà ponte» a Roma stà a significare anche passare dall'appartenenza a un gruppo (di qualsiasi genere) oppure da una causa a un'altra, spesso percepita come nemica, e implica un atto di tradimento o un voltafaccia a livello ideologico, sociale, personale e politico. Infine, facendo un grande balzo nel tempo, arrivando ai giorni nostri, dal dopoguerra s'è coniato a Roma e non solo il detto «faccio ponte» per dire: "me prendo n'giorno dé riposo approfittanno der festivo che cade vicino ar fine settimana, pé avé n'periodo più lungo de pausa". Insomma, «er dialetto dé noantri» come altri dialetti italiani, spesso influenza il linguaggio attuale. Nel caso del romanesco, perché è fonte di espressioni, modi di dire e terminologie che arricchiscono la stessa lingua italiana, si riflettono l'identità e le tradizioni d'un territorio che ha visto nascere la civiltà occidentale.