I SEGNI DELLE ALLUVIONI STORICHE DI ROMA di Eugenio Loreto e Pio Bersani
L’ultima grande inondazione der biondo fiume è avvenuta nel 1937, nonostante la grande opera ingegneristica dei muraglioni fosse già terminata. Ma la storia delle alluvioni del Tevere è ancestrale, risale alla notte dei tempi e senza quella probabilmente Romolo e Remo non avrebbero fondato Roma. Girovagando per la città nelle zone più basse, alzando gli occhi, è possibile incontrare molte targhe che indicano il livello che ha raggiunto in quella determinata zona l'acqua esondata dal Tevere. In questa pagina qui di seguito, ecco un pezzo tratto dall'ottima ricerca dei geologisti Eugenio Loreto e Pio Bersani per la Società Italiana di Geologia Ambientale, che racconta le alluvioni nella memoria delle lapidi e dei dipinti:
Roma e il Tevere
La morfologia e la particolare struttura geologica del territorio hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia di Roma. I primi insediamenti umani, nacquero sui colli di natura vulcanica, in prossimità del fiume Tevere. Il sito fu scelto proprio per la favorevole condizione geomorfologica: la posizione rilevata e facilmente difendibile, che permetteva il controllo del territorio circostante. Il sito inoltre offriva risorse naturali e in particolare geologiche: acqua, suoli fertili, materiali da costruzione (argilla per mattoni, tufi vulcanici lapidei, pozzolana, sabbie, ghiaie, travertino, eccetera). Gli antichi Romani ritenevano il fiume Tevere sacro perché apportatore di prosperità, fino a mitizzarlo e a rappresentarlo in forma antropomorfa, sia su monete che in numerosi monumenti e fontane. Spesso nelle statue si nota una figura imponente, un uomo dalla lunga barba che porta in mano una cornucopia: come nella Villa Adriana a Tivoli, o sul colle Campidoglio. Oppure raffigurato come un vecchio barbuto, con i capelli cinti di canne palustri, che si erge sulle onde, come si può osservare nei bassorilievi della Colonna Traiana
La storia di Roma, sin dalla sua fondazione, è legata alle vicende del fiume che l’attraversa. Secondo la leggenda fu infatti il Tevere in piena che trascinò la cesta con Romolo e Remo, fino al Velabro, punto in cui vennero trovati dalla lupa. Forse il nome dei due fratelli deriva da Rumon, nome etrusco del Tevere. Al di là del mito, sappiamo che il fiume Tevere ha avuto un ruolo storico strategico, in quanto costituiva una risorsa di approvvigionamento idrico, la fonte energetica per diverse attività
lavorative, ma soprattutto era una importante via di navigazione e di trasporto di merci e di beni.
Fino a quando Roma si sviluppò sui «sette colli» e all’interno delle Mura Serviane, le inondazioni del fiume non arrecarono grandi danni. Durante l’epoca imperiale invece, l’espansione urbana giunse nelle aree pianeggianti, in prossimità delle sponde del Tevere: Campo Marzio, Trastevere e la zona dell’Emporio ai piedi dell’Aventino. In conseguenza di tali scelte, quando il livello delle acque del fiume cresceva, queste invadevano le parti basse della città, arrecando distruzioni e vittime. Nella sola inondazione del 1598, si stima che i morti furono da 1400 a 3000. Le vittime causate dalle alluvioni, inoltre, non terminavano con l’abbassamento delle acque e con il ritorno del loro livello alla normalità, nelle le zone prossime al fiume rimanevano paludi malsane ed acquitrini, apportatrici di malattie e morte per molto tempo. Le abitazioni infatti spesso rimanevano sommerse dalle acque fino al terzo piano, piene di fango e umidità, per questo motivo, frequentemente, alle inondazioni seguivano periodi di carestie e pestilenze. Si creò così un rapporto simbiotico tra la città che doveva convivere con le “intemperanze” del suo fiume.
le inondazioni del Tevere a roma
Le alluvioni si sono verificate fin dall’ antichità e numerose sono le fonti storiche che hanno trattato le inondazioni del Tevere nella città. Nel periodo Romano le descrizioni di tali eventi sono state tramandate da Tito Livio, da Orazio e da Dione Cassio e da altri autori latini come Tacito e Plinio. Le piene del periodo medievale e fino al 1870 sono state studiate e riferite da narrazioni di scrittori contemporanei. Le inondazioni a Roma, prima della costruzione dei muraglioni, avvenivano secondo due diverse modalità: la prima per «rigurgito dalle fogne» ed iniziavano al livello di 13 m a Ripetta. La seconda «per correnti»: le tracimazioni dal fiume cominciavano a 14 m a Ripetta, mentre a 16 m si avevano le vere e proprie inondazioni (stato di piena eccezionale). Nella tabella che segue è riportata la classificazione delle piene del Tevere in base all’altezza idrometrica:
Classificazione delle piene del Tevere in base all’altezza idrometrica, stabilita dell'ingegner Pietro Frosini nel 1977 (direttore del dipartimento idrogeologico del Genio Civile)
Sin dalle epoche storiche, le parti più basse della città, situate a quote inferiori ai 14 metri di Roma venivano allagate, in seguito a piogge prolungate, e al rigurgito della rete fognante. La frequenza di questi allagamenti “ordinari” era in media di uno ogni due anni. Invece gli eventi di "piena straordinaria" procuravano allagamenti importanti in gran parte della città.
Dall’antichità ad oggi, si sono verificate 118 inondazioni distribuite in vari periodi storici. La data della piena più antica è del 414 a.C. riportata da Tito Livio e fino alla nascita di Cristo sono state citate dalle fonti storiche 20 piene. Dall’anno 1 d.C. al 476 (caduta Impero Romano), le cronache storiche narrano di 21 piene, con una media di circa una ogni 22 anni.
Nel periodo dal 500 al 1000 il numero delle piene diminuisce considerevolmente, con una media di circa 1,5 inondazioni per secolo; si è propensi a considerare che questo dato sia forse imputabile alla mancanza di fonti storiche.
Per il successivo periodo compreso tra l’anno 1000 e il 1500, le narrazioni riferiscono di ingenti danni, e molte vittime tra la popolazione. Dal 1501 al 1870 (Roma diventa Capitale d’Italia) si hanno il maggior numero di inondazioni, spesso catastrofiche: ben 47 eventi. I secoli che hanno fatto registrare il più alto numero di piene eccezionali sono il sedicesimo e il diciassettesimo. Più eventi eccezionali sconvolsero la città, lasciando tracce drammatiche nella descrizione delle fonti. Ben 3 piene (anni 1530, 1557 e 1598) hanno superato i 18 m a Ripetta, con l'inondazione della notte di Natale del 24 dicembre 1598 che ha raggiunto l’altezza record di 19,56 metri, in tale occasione le colonne del Pantheon furono sommerse per ben 6 metri.
Nei secoli passati la popolazione romana che viveva in prossimità del fiume effettuava un'azione di monitoraggio e di allerta, come ci tramanda un antico proverbio romano basata sull’osservazione visiva del Tevere a Ponte Sisto dal suo foro centrale che i romani chiamano “occhialone”: «Si a ponte Sisto all'occhialone ce passa l'acqua, poi stà sicuro che mezza Roma starà sott'acqua. Si l'occhialone è cormo allora c'è davvero da piagne».
Le preoccupazioni cominciavano quando le acque traboccavano dall’alveo fluviale “per corrente” dalle sponde di Ponte Milvio, imboccavano la via Flaminia, fino alla Porta del Popolo, che assunse per un certo periodo il nome di «flumentanea». Da Porta del Popolo le acque prendevano diverse direttrici in vari punti della città, per incontrarsi con quelle straripate a Castel Sant'Angelo
che s'allargavano anche nella sponda destra a Trastevere. Più a valle la corrente del fiume veniva in parte frenata dai ponti, soprattutto quelli a monte dell’Isola Tiberina. Le zone circostanti all’isola venivano spesso allagate, ne danno testimonianza significativa Il nome dato ad alcune strade, come via Arenula, via della Renella e via della Fiumara, piazza in Piscinula, eccetera.
Oltre a questi fattori, nei testi tramandati ne sono citati altri di natura antropica, come l’irregolarità della sezione dell’alveo, il notevole numero di mulini galleggianti e gli scarichi d'immondizie che, trattenendo le acque ne favorivano lo straripamento. Anche lo sviluppo edilizio lungo il tratto urbano del Tevere rappresentò una causa concomitante: la presenza di case e palazzi a picco sulle rive del fiume provocava infatti il restringimento dell’alveo. Le piene in tutto il periodo preso in considerazione in tali testimonianze, si verificarono con maggior frequenza nel mese di novembre ed in generale nei mesi autunnali e invernali, a cui corrisponde una maggiore piovosità nel bacino idrografico del Tevere e maggiori riserve delle acque sotterranee.
targhe e lapidi: un museo a cielo aperto
Andando a spasso per Roma molti turisti saranno passati indifferenti davanti alle numerose tabelle marmoree sparse per il suo centro storico. Le troviamo seminascoste nei portici delle antiche chiese, nei cortili dei palazzi nobiliari, nelle zone più basse della città. I più attenti e curiosi, invece, si saranno fermati per capire cosa queste epigrafi riportano. Si tratta di un vero e proprio museo di opere d’arte all’aperto, con numerose iscrizioni, targhe ed idrometri posti sui muri che ci testimoniano e ricordano le intemperanze del fiume in occasione delle sue crescite improvvise per eventi alluvionali, spesso disastrosi, succedutesi nel corso dei secoli. In un recente lavoro sono state indicate ben 24 piene storiche del Tevere a Roma, che hanno superato l’altezza di 16 metri. Le piene sono state tramandate dalle cronache del tempo e il livello di piena raggiunto dalle acque è stato anche ricordato da lapidi apposte sui muri, che in buona parte ancora esistono (solo sei sono scomparse). Memorie delle piene si rinvengono anche sulle due colonne di travertino, con funzioni di idrometro, come quelle dell’antico Porto fluviale di Ripetta. Queste attualmente si trovano sul lungotevere Marzio all’imbocco di ponte Cavour. Le inondazioni più consistenti cominciarono ad essere registrate in apposite lapidi, per volere dei Papi, a cominciare dalla piena del 26 gennaio 1180.
Proseguendo in prossimità di Ponte Sant’Angelo sul lato opposto al Castello, si percorre una strada, via del Banco di Santo Spirito (l’antico “Canale di Ponte”), che conduce poi in una piccola piazza. Sul lato destro della strada, circa a metà altezza, si trova un piccolo arco. Qui è possibile osservare la più vecchia lapide visibile all’aperto, che risale al 6 novembre 1277 ed anticamente era posta nell’antica chiesa dei Santi Celso e Giuliano, mentre oggi è murata sotto l’Arco di Banchi, la scritta in caratteri semigotici riporta inciso un testo in latino che registra la notizia dell'alluvione.
Si hanno notizie dalle fonti storiche di alcune lapidi antiche, relative alle piene del 1230 e del 1277, che si trovavano all’interno della "Chiesa della Transpontina" in via della Conciliazione, ma di cui si sono perse le tracce.
Tutte le lapidi fino alla piena del 1937 sono sparse per la città. Quelle del 1937 sono invece interne ai muraglioni, essendo stata la piena contenuta dai muraglioni stessi. Su di un totale di 125 segnalate in fonti storiche, ne restano soltanto 90, le altre sono scomparse, mentre alcune sono state recentemente trovate. Sulle più antiche è riportata un’incisione orizzontale e un testo spesso dal curioso tono favolistico relativo ora al Papa regnante ora agli eventi storici. Ma il simbolo caratterizzante è una «manina» con l’indice puntato, sul livello raggiunto dalle acque del Fiume, come visibile nella lapide che ricorda l’alluvione dell’8 ottobre1530 posta sulla facciata della "Chiesa di S. Maria sopra a Minerva". La scritta riporta il seguente testo tradotto dal latino: «Nell’anno del Signore 1530 nell’ottavo giorno avanti le idi di ottobre nel VII anno del pontificato del santissimo Papa Clemente VII, fin qui salì il Tevere e Roma sarebbe stata totalmente distrutta senza il pronto intervento della Vergine». Al di sotto della lapide la scritta “Frates posuerunt”. Oltre a questa lapide i frati domenicani della Chiesa ne posero altre 5 sulla stessa facciata, situate a diverse altezze da terra, la più alta delle quali si trova a 3,95 metri ed è relativa all’alluvione del 1598.
La disastrosa piena del 1598 è ricordata nella città di Roma da ben 12 lapidi che sono giunte ai nostri giorni. Tra queste citiamo una posta all’ingresso di Piazza del Popolo. L'iscrizione commemorativa riporta il seguente testo, tradotto dal latino: «Appena il fiume toccò con audacia l’indice posto qui sotto, allagando in maniera uniforme, ma più in basso della vicina fonte qui giunse il Tevere mentre Paolo IV, nel terzo anno del suo pontificato, era il massimo reggitore del mondo».
Il 24 dicembre del 1598 si verificò quella che è citata come la più catastrofica inondazione del Tevere. Le acque raggiunsero il massimo livello storico di 19,56 metri a Ripetta, sommergendo quasi tutta la città, formando dei notevoli allagamenti, al Pantheon e a piazza Navona le acque arrivarono ad un’altezza di cinque metri.
Ci furono più di un migliaio di vittime e feriti, come illustrato nel dipinto di Pierre Hubert Subleyras, raffigurante S. Camillo De Lellis che mette in salvo i malati dell’ospedale Santo Spirito durante l’inondazione del Tevere del 1598
[immagine 1 qui di seguito]. Crollarono palazzi e numerose case, del rione Borgo, dell’isola Tiberina, e molte case furono sommerse da metri di fango. Nove mulini, installati lungo il corso d’acqua, furono distrutti dalla corrente; merci, mobili e persino i cadaveri contenuti nelle tombe di Santa Maria dell’Anima furono trascinati via dalla furia del fiume. Fu in questa circostanza che crollarono tre arcate del "Ponte Senatorio". Il Ponte aveva già subito danni dalle piene del fiume del fiume a varie riprese (1230, 1422, nel 1557). La grande alluvione del 1598 fece sparire tre delle sei arcate e il ponte non fu più ricostruito, e così fu ribattezzato dai romani
«Ponte Rotto» come visibile in una tela di Gaspar Van Wittel [immagine 2 qui di seguito]. Il ponte fu poi sostituito nel 1890, dal Ponte Palatino o Ponte Inglese. Un'ulteriore originale testimonianza di questa catastrofica piena è rappresenta dalla
"Barcaccia".
Questa «fontana scultura» che si trova in Piazza di Spagna, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, fu realizzata da Pietro Bernini e dal figlio Gian Lorenzo nel 1629. Ha la forma di una barca semisommersa in una vasca ovale sotto il piano stradale. L’acqua la riempie dando l’idea che stia per affondare. Questa fontana fu ispirata dal ritrovamento sul posto di una vera barca in secca trasportata in occasione dell’alluvione del Tevere del 1598.
Nelle lapidi più recenti, realizzate dal XIX secolo, sono indicati, oltre alla «manina» con l’indice puntato, una barchetta, con il giorno, il mese, l’anno, con la scritta «Flumen», come in quella situata in via dell’Arancio. Oppure come in quella di forma triangolare, con la scritta
«Tiberis Illuvies», collocata in via Canova ad un’altezza da terra di 1,74 metri. Entrambi le lapidi sono relative all’alluvione del 2 febbraio 1805. Successivamente, il Tevere straripò il 10 dicembre del 1846, con allagamenti in varie parti basse della città, da via del Corso al Ghetto ebraico.
In un acquarello di Salomon Corrodi, pittore svizzero, è ben illustrata l’espansione delle acque fluviali nella zona dei Prati di Castello . Di questa piena del 1846 è rimasta testimonianza una sola lapide che si trova nel cimitero sotterraneo della "Chiesa di S.Maria dell’Orazione e Morte" in via Giulia.
Dopo quasi due mesi dalla breccia di Porta Pia un terribile evento di piena colpì la neonata Capitale del Regno d’Italia. Tra il 26 ed il 29 dicembre del 1870, le acque del Tevere raggiunsero 17,22 metri, all’idrometro di Ripetta, inondando vari quartieri: Ponte Milvio, Piazza del Popolo, Piazza del Pantheon, Trastevere e il Ghetto in via della Fiumara. Il Re Vittorio Emanuele II, fece una breve visita a seguito della inondazione della città, così come illustrato nel dipinto di Ettore Roesler Franz [immagine 3 qui di seguito]. In memoria di questo evento furono apposte circa 52 lapidi che a differenza delle precedenti si limitano solo ad indicare semplicemente una linea del livello raggiunto dalle acque ed il termine «Alluvione con il mese e l’anno».
Dopo questo tragico evento, che causò ingenti danni e un numero notevole di persone decedute, per la volontà politica dei governanti della nazione (tra cui il senatore Giuseppe Garibaldi) e per il prestigio della Capitale del Regno, furono avviati i lavori per proteggere Roma dalle catastrofiche alluvioni. L’incarico fu affidato all’ingegnere Raffaele Canevari il quale progettò i nuovi argini del Tevere, i cosiddetti «muraglioni» che furono costruiti in gran parte nel periodo compreso tra il 1880 e il 1892 e poi terminati definitivamente nel 1926. Questa grande opera d'ingegneria idraulica costituì la fine di un continuo e periodico pericolo ma portò un sostanziale cambiamento di tutto l’ambiente tiberino, tra la demolizione di paesaggi e ambienti unici come i porti di Ripetta, di Ripa Grande e Leonino, le modifiche di antichi ponti romani come il Cestio o il ponte S. Angelo, separando il fiume dal contesto cittadino, isolandolo all’interno di alte mura, facendo perdere così anche molte delle attività che vi si svolgevano.
Le vedute nei dipinti di Gaspar Van Wittel, conosciuto come Vanvitelli, sono rappresentazioni e testimonianze del paesaggio storico scomparso, con sponde ripide che scendevano al fiume ed edifici fondati lungo l’asta fluviale, barche per il trasporto di merci, barche di pescatori, mulini e mugnai, donne che lavavano i panni nel fiume.
Nel secolo scorso le notizie e le informazioni scientifiche sulle alluvioni divengono man mano più complete ed attendibili grazie all'installazione dell'idrometro di Ripetta, ubicato nel luogo dell’antico porto fluviale di Ripetta, funzionante, con poche interruzioni, sin dal 1822. Il porto è stato poi demolito per far posto ai muraglioni urbani, e l’idrometro è stato trasferito nel 1893 sul paramento di monte del muraglione appena costruito all’altezza di Ponte Cavour, dove è tuttora presente. Attualmente le misure del livello del fiume si effettuano con strumenti laser che forniscono i dati in tempo reale e che mantengono lo stesso zero idrometrico dell’idrometro in muratura del 1893.
Dall’anno 1900 ad oggi ci sono state tre piene straordinarie, che hanno superato i 16 metri d'altezza all’idrometro di Ripetta. Queste ultime si riferiscono agli eventi alluvionali verificatesi il 2 dicembre del 1900, raffigurato nel dipinto di Pio Bottoni che illustra il Foro Romano allagato dalla piena del Tevere[immagine 4 qui di seguito].
Il secondo evento si verificò il 15 febbraio 1915 con le acque del Tevere raggiunsero i 16,08 metri a Ripetta.
L’ultimo evento del secolo scorso nel quale varie zone della città furono allagate si ebbe il 17 dicembre 1937, con una portata valutata in 2800 mc/sec e con un livello al colmo della piena di 16,90 a Ripetta. Quest'inondazione è ricordata da una lapide posta dinanzi all’ingresso del pronto soccorso dell’Ospedale Fatebenefratelli sull’isola Tiberina.
Nel secolo attuale, il 12 dicembre del 2008 Roma è stata interessata da una piena del Tevere che ha raggiunto alla stazione idrometrica di Ripetta circa 12,60 metri. In tale evento di piena si sono registrati diversi distacchi dei barconi galleggianti dai loro ormeggi, le fotografie di Ponte S. Angelo con i barconi incastrati hanno fatto il giro del mondo.
In data ancor più recente, il 15 novembre 2012 il livello del fiume ha raggiunto un’altezza a Ripetta più alta di circa un metro (13,50 m), ma in tale occasione l’evento di piena è passato quasi inosservato a Roma perché tra il 2008 e il 2012 l’Autorità di bacino del fiume Tevere, in accordo con gli altri enti pubblici preposti, aveva provveduto alla regolamentazione e alla messa in sicurezza dei galleggianti sul tratto urbano del Tevere.
Ma il rapporto simbiotico tra Roma e il suo fiume non è assolutamente terminato. La paura delle inondazioni future è una preoccupazione reale, data la storica suscettibilità della città a questi eventi estremi. L'urbe, costruita su un equilibrio idraulico pensato per un clima preindustriale, è e sarà sempre particolarmente vulnerabile alle massicce esondazioni del fiume sacro.
conclusioni
Attualmente il pericolo delle inondazioni a Roma è molto ridotto, per la presenza dei muraglioni urbani e della diga di Corbara sul Tevere in Umbria a monte della città, ma non può considerarsi del tutto eliminato. La miglior prevenzione delle piene è oggi, unitamente al rispetto delle regole, la manutenzione del tratto urbano dell’alveo e dei tratti a monte e a valle della città che devono permettere nel territorio a monte della città, l’espansione delle acque di piena e, nelle zone a valle, il libero deflusso delle acque verso il mare.
Ai Romani, ma anche a molti turisti, la vista del fiume Tevere provoca al primo sguardo una sensazione di avvolgente magia, che è difficilmente spiegabile a parole, probabilmente perché si percepisce che il legame storico tra la città eterna e il suo fiume non s'è mai interrotto da quasi 3000 anni. Gli abitanti di Roma, dalle descrizioni delle fonti storiche, sappiamo che vivevano e svolgevano molte attività a fianco del loro fiume con un atteggiamento consapevole dei benefici e al tempo stesso dei pericoli che da esso derivavano, spesso da un'improvvisa inondazione, da cui ci si difendeva molto poco e quindi si subivano molti danni.
Le ricorrenti inondazioni spesso distruttrici del Tevere per millenni vennero considerate come un prezzo inevitabile da pagare per vivere nella città. A questo proposito c'è chi sostiene che lo spirito un pò fatalista e il carattere un pò disincatato dei romani derivino dall'aver convissuto per tanti secoli con un pericolo a cui era difficile opporsi, ma che dai danni che esso provocava ogni volta ci si risollevava. Tutto ciò è bene esemplificato nel famoso detto romano «Morto n'Papa se ne fa ‘n’antro». Vogliamo infine citare una frase di Goethe, tratta dal suo viaggio in Italia: «Solo a Roma ci si può preparare a comprendere Roma».