SI M'ADDORMO ME FAI ORMO di Claudio Di Giampasquale
Sostanzialmente il significato di quest'antico detto romano è rivolto al rischio di rimanere raggirato, per dirla meglio in linguaggio italiano: «Se non stò più che all'erta, c'è pericolo che mi freghi». Per comprenderne il senso in chiave romanesca, bisogna raccontare un'antichissima abitudine che si perpetrava "per gioco" nelle osterie romane sin dai tempi dei Cesari: la «passatella»
Il gioco della Passatella Romana
Sin dai tempi della suburra sino alla nascita dei rioni, Roma pullulava di taverne e osterie. Erano luoghi ove i cittadini manifestavano in maniera inconfutabile il loro carattere latino: caciarone e ironico, spesso esagerato. Erano gli spazi di ritrovo preferiti dopo una giornata di duro lavoro, "bazzicate" da chiunque, senza distinzioni sociali, da gente comune, da ricchi e poveri, persone d'ogni risma e genere, poco importa si trattasse di nobili, cardinali o semplici bottegai. Tutti vi entravano assetati, affamati, incazzati, allegri, tristi, annoiati e tutti vi uscivano sazi, rincuorati e felici. Nelle osterie ci si conosceva e ci si frequentava (probabilmente solo lì) poi fuori
«chi s'è visto s'è visto».
In questi antichi e pittoreschi ambienti nacque il gioco della
«passatella» il cui spirito era lo "sfottò" e da quello, che avvelenava gli animi già provati dal vino, spesso scaturivano gli atti di violenza. Durante la caciara della passatella si mescolavano divertimento, rivalità e anche un po' di tensione, specialmente quando le cose si scaldavano e s'arrivava a litigare e spesso degenerare. In questa concitata ricreazione era regola eleggere un malcapitato a cui si vietava di bere, un "poveraccio di turno" da prendere di mira, il cui ruolo di bevitore inattivo, passivo, piantato e fermo come un «ulmus» in italiano "olmo" in dialetto romanesco "ormo" (albero dal portamento colonnare immobile alle intemperie proprio come il malcapitato nel gioco). Insomma la «passatella», oggi pressochè in disuso, fu un esempio di come le tradizioni e i giochi popolari nella città eterna ebbero aspetti molto complessi, a volte anche pericolosi, specialmente quando si mescolano con le chiacchiere, l'alcol e le emozioni forti. La passatella romana non aveva nulla a che fare con il gioco di carte così chiamato sviluppatosi successivamente in diverse regioni del centro sud Italia, sono due cose completamente diverse, quindi vale la pena ricordarlo per evitare confusione.
Quando nelle osterie romane, dopo essersi rifocillati di cibo, la passatella incominciava, si formava una nutrita tavolata di commensali che ordinava una o più contenitori di vino. Venivano decretate d'emblée dai veterani due figure: il
"Capo" e il "Sotto" (capo)
i quali decidevano per via gerarchica un compagno cui passare per primo "er tubbo" costantemente riempito (caraffa da un litro) che proseguiva il giro in senso orario dei commensali pronti con il bicchiere. Ogni passaggio era accompagnato da una breve dichiarazione improvvisata in romanesco a mò di filastrocca con rima. Scopo del gioco era far sì che il vino fosse consumato da tutti i partecipanti tranne uno che inconsapevolmente diventava «ormo» che impossibilitato dalla regola del gioco ad alzarsi, suo malgrado diventava "er soggetto"
ossia lo zimbello della situazione goliardica, oggetto di riso e di scherno.
L‘abilità del “passatellista”, nel corso del patteggiamento sulle proposte e nelle dinamiche del gioco, consisteva nel “consolidare le proprie amicizie” e creare nuove alleanze in modo da assicurarsi le bevute successive nel corso del gioco ed evitare che gli avversari bevessero. Il tutto avveniva a oltranza sino allo sfinimento e all'oblio etilico, quando tutto andava bene. Le osterie erano "locali spartani": tavoli con tovaglie di carta e sedie impagliate, botti e poco altro. Gli osti vendevano ettolitri di vino.
Purtroppo però per la sua natura crudele e l'ubriacatura dei commensali, e soprattutto se l'ormo" di turno era una persona permalosa, il gioco degenerava spesso in rissa, ricorrendo alle armi d'ogni tipo, talvolta con esito fatale. I trascinatori delle passatelle erano tipi scalmanati o "bulli" che per sfogare la propria esuberanza amavano far baldoria e lasciarsi andare ai fumi dell'alcol. Insomma erano
«tipi svegli»: da qui a Roma nacque il detto: «si m'addormo me fai ormo».