ER BON PADRE SPIRITUALE sonetto di Giuseppe Gioachino Belli • Commento di Claudio Di Giampasquale

La giovane ragazza protagonista del sonetto, va a confessarsi in una chiesa rionale di Roma. Dall'altra parte del confessionale trova un frate, quello che Belli chiama «er bon padre spirituale». Naturalmente nella tipica popolare ironia dei romani il termine «bono» da sempre può essere usato in modo ambiguo, tagliente, a mo' di ossimoro. In effetti "quanto bono sia stò prete" starà alla nostra sensibilità valutare. Le sue domande "apparentemente educate" smascherano una latente immoralità. Scopriamo perchè:

Voci di Francesca Fiorentini e Elia Iezzi con la direzione artistica di Marco Mete. Tratto da «Giuseppe Gioacchino Belli - Sonetti »  audiolibro edito dalla Società Editrice Dante Alighieri Roma

Accùsati, figliuola

 - me vergogno
Niente: t'aiuto io con tutto il cuore.

Hai dette parolacce?

 - A n'bèr signore
E cosa, figlia mia? 

 - brutto carógno!
Hai mai rubato?

 - Padre sì, un cotogno

A chi?

 - Ar sór Titta

Figlia, fai l’amore?
- Padre sì

E come fai? 

- Da n'cacatore, Ciarlàmo

E dite?

Cuer che cc’è bbisogno|
La notte dormi sola?

 - Padre sì!
Ciài pensieri cattivi?

 - Padre, oibò
Dove tieni le mani?

 - O cqui o llì....
Non ti stuzzichi?

E cc’ho da stuzzicà? 
Lì fra le cosce

 - Sin adesso no!
- Ma sta notte ce vojo n'po’ provà

Un'apparentemente disadorna composizione metrica del grande Giuseppe Gioacchino Belli creata ai tempi dell'Accademia Tiberina. Qui il poeta affronta il meccanismo della concezione integralista inquisitoria insito nella morale della religione cattolica. Questo è un sonetto tipicamente teatrale, con dei tempi assolutamente perfetti nelle battute che si alternano e si scontrano con due netti codici linguistici: il prete che parla un perfetto linguaggio forbito e sussiegoso; la giovane ragazza che parla in un semplice, immediato e sincero romanesco, confessando al curioso prete "colpe" assolutamente risibili e minime. Ecco, la non ingenua sequela di domande del religioso, che indagano in senso acuto i comportamenti intimi dell'ingenua giovane viene portata avanti da Belli per tutto il sonetto, fino a una conclusione, diciamo comica e sfacciata (considerando che la "comicità dell'ironia belliana" contiene sempre molti spunti di riflessione). La conclusione è caratterizzata da rime tronche nelle ultime due strofe proprio a significare e cogliere che la "confessione" sta debordando da sacramento ecclesiale (di conversione e di pentimento) a vizioso interrogatorio, appunto precipitando proprio verso una "sfacciata e immorale comica", di certo molto audace a metà diciannovesimo secolo.


p.s. «cotogno» in romanesco è un frutto di melograno; mentre «sór Titta» sta a indicare un signore chiamato così perchè così a Roma erano nominati gli uomini apprezzati per la loro integrità e di conseguenza si doveva loro un alto livello di rispetto; inoltre nel sonetto vi è anche la parola «cacatore», qui l'ingenua ragazza, nella più cafona guisa popolare romanesca, con un termine assai discutibile, stà semplicemente a indicare al frate il luogo: un bagno pubblico, lo dice così a mo' di posto appartato.