IL MITO E LE CONTRAPPOSIZIONI DELLA ROMANITÀ di Claudio Di Giampasquale

Il senso d'appartenenza alla propria terra è un istinto primordiale che hanno tutti gli esseri umani in ogni parte del mondo. Ma per chi è romano la propria origine forgia un temperamento speciale. Perchè per chi è di qui, la storia è una dote che "gli fà credere" di camminare un pò più in alto. Roma resta una città di cui è difficile non innamorarsi. Possiede un carisma seducente, magnetico e poi ha una straordinaria capacità d’accoglienza, da millenni. Roma è così, chi ci nasce fà di tutto per restarci, chi và via fà del tutto per tornarci, chi ci arriva per lavoro o per amore o per altro fa del tutto per non andarsene perché sente crescere in sè un orgoglio della stessa natura di chi ci nasce: quello di sentirsi romano/a. Tuttavia chi ci si stabilisce da altrove, è costretto a "superare ardue prove": deve accettarne i tanti difetti, oltrepassare lo shock culturale, superare l'iniziale smarrimento, raccapezzarsi dal disorientamento, deve sopportarne la confusione. Quando tutto questo diventerà abituale allora, gradualmente, l'urbe la si sente entrare nell'anima. Si dice che «se Roma la vivi , poi ti annoierai in qualsiasi altro posto solo dopo una settimana». Ogni romano quand'è fuori dall'Italia, se gli viene chiesto da dove venga, mosso dal suo "orgojo" prima risponde: «sò dé Roma» poi: «sono italiano», questa sequenza è come un tutt’uno indissolubile.

Lo scrittore Fausto Gianfranceschi affermò: «Non si nasce a Roma per caso. Roma è un destino, è un apice della trama cosmica».

Il «Sò dé Roma» è grippato nel dna, difficilmente si coaugula e spesso determina agli altri, che sono di posti più o meno lontani dai sette colli, un "effetto alterato" che di primo acchito implica sensazioni contrapposte di fastidio o ammirazione, mai d'indifferenza chi la sostiene mente. Avere un romano nella propria comunità, in qualsiasi ambito, suscita un conflitto asimmetrico. C'è chi ci ritiene "troppo forti" c'è chi ci ritiene "grevi e cafoni". Naturalmente per i romani che si ritrovano a vivere o lavorare lontano dalla propria città, la soluzione migliore è inserire nel proprio linguaggio dosi misurate di accento, magari al momento giusto. Il romanesco generalmente agevola l'ironia, suscita empatia, è una marcia in più in un percorso di conoscenza, di convivenza. Una volta una persona mi disse che: «tutti quelli a cui chiedo di dove sei? e che ti rispondono sò dé Roma, lo fanno con una luce diversa, più brillante negli occhi». Il "Sò dé Roma" è semplicemente la genuina consapevolezza d'appartenere a una città "senza eguali". Il "Sò dé Roma" è la cognizione d'essere legati a un luogo in cui è nata quella stessa «civiltà romana» che ha contribuito enormemente allo sviluppo dell'arte, del diritto, della legislazione, della letteratura, dell'ingegneria, dell'architettura, dei linguaggi, e chi più ne ha più ne metta...

Come detto, Roma è antitesi e contrapposizione, la realtà di ciò è nei fatti, la verità di ciò è celata nelle pieghe del tempo, negli strati delle epoche, nel corso degli eventi. Ai piedi dei sette colli dominano due pesi e due misure per una città che fu, che è, e che sarà, equamente proporzionata da «luci e ombre», da «sacro e profano», da «eccesso e mancanza», da «bellezze e sciatteria», e così di seguito.  E poi Roma è la città delle grandi aspettative spesso deluse, Giotto disse: «Roma è la città degli echi, la città delle illusioni, Roma è la città del desiderio». Indro Montanelli nella sua opera "Storia di Roma" scrisse: «Mai città al mondo ebbe più meravigliosa avventura, la sua storia è talmente grande da far sembrare piccolissimi anche i giganteschi delitti di cui è disseminata».

A Roma l'equilibrio è in divenire, è un processo continuo e un mutamento inevitabile. Da sempre i romani lo tollerano e accettandolo riescono ad arrivare a un contrappeso che risiede all'interno del mutamento stesso, sopportando ogni cosa senza sbilanciamento, senza lasciarsi intimorire, senza rattristirsi: accogliendo e includendo apprezzamenti e critiche, onori e oneri. Perchè la città eterna è un luogo accogliente, da sempre. Se poi c'è n'è una buona e una cattiva, è difficile dire. Di certo ce n'è una magnanima e solidale ed all'opposto una violenta e aggressiva. Questa è una città di gesti della sopraffazione, di litigi nel traffico, di extracomunitari pestati a sangue, barboni bruciati, tombe profanate, di stupri in pieno giorno. Ma poi come in un equilibrio di piatti di una bascula questa città si bilancia, ecco che ne compare una stupenda che offre ogni meraviglia, piacevole, cordiale, ospitale, generosa ma sempre pregna di sano cinismo, nichilista, senza slanci dentro e dove per esprimere meraviglia e stupore basta solo dire «mecojoni!»  Roma è una città di pareggio, è la città della "regolazione del minimo della celebrazione di sè stessi", un luogo che cura l'ego smisurato. Roma è la città dei «sti cazzi!». È la città dei «ma chi cazzo sei?».

E alla fin fine magari è cosa buona e giusta che in un posto così ci sia il Capo della Chiesa. È cosa buona e giusta che nel traffico circolino tantissime auto del corpo diplomatico, perchè a Roma risiedono diversi disaccamenti dell'Unione Europea, delle Nazioni Unite, c'è la FAO, ci sono le ambasciate e consolati di tutti gli stati del mondo, anzi rispetto a tutte le altre capitali qui ce ne sono il doppio, perchè sparpagliate per la città ci sono anche le legazióni "presso la Santa Sede". È cosa buona e giusta che in un posto cosi ci sia nella villa ‘Il Vascello’ nei pressi del Gianicolo la sede della massoneria. È cosa buona e giusta che ci sia non poca criminalità nonchè la cosiddetta "mafia capitale". È cosa buona e giusta che sul colle Quirinale dentro un immenso palazzo di centodiecimila metri quadri dotato di ben milleduecento stanze dimori solo il capo dello stato con i suoi settecentodieci dipendenti (stendiamo un velo pietoso sui costi). È cosa buona e giusta che qui ci siano i servizi segreti, quelli interni, quelli esterni e quelli deviati. È cosa buona e giusta che a Roma ci siano pure i governanti della nazione e tutti i ministeri ubicati nei nei loro sontuosi palazzi brulicanti ciascuno di ministro, viceministro, sottosegretari intorno i quali ruotano in ogni palazzo-ministeriale una marea di incarichi specifici, uffici di diretta collaborazione, consiglieri, esperti giuridici, economici, tecnici, addetti stampa e alla comunicazione e uno sciame di impiegati. È cosa buona e giusta che la città brulichi di auto blu a fendere con metodi più o meno ortodossi il muro del traffico bloccato, per accompagnare i vip di tutti «i poteri» ciascuno sotto scorta (spesso anche del quarto), naturalmente in primis i politici, quei politici sempre subissati dalla fila delle richieste provenienti da ogni dove, certamente non solo quelle dei romani che non sono certamente avvezzi ai convenevoli, perchè per chi abita a Roma va bene qualsiasi governante, basta che qui si lasci lavorare e campare. Perchè ai romani je stà bene tutto ...purché nun jé se rompano i cojoni. È questa la filosofia della città eterna, qui è sempre stato così in un contesto che da sempre ha visto fama e declino. A Roma il pollice non è mai stato e non sarà mai in posizione orizzontale: qui è solo sù oppure è solo giù. Questo attuale modo di giudicare tanto in uso oggi nei social network, qui è nato più di duemila anni fa.

Dal dopoguerra Roma è città di palese democrazia che giustamente si esplicita, continuamente, attraverso gli scioperi  le manifestazioni e le proteste. E i romani, pazienti, accolgono, sopportano senza insorgere a loro volta contro tutte le persone provenienti da ogni dove, spesso molto incazzate, di conseguenza qualche volta assai facinorose (per fortuna di rado).

Senza entrare nel merito dello spinoso argomento, semplicemente per evidenziare l'incredibile pazienza di chi vive qui, di tutti coloro che incolpevoli rimangono continuamente coinvolti e bloccati. Ai romani dovrebbe essere consegnato il premio oscar della sopportazione. Difficile far comprendere realmente quale urbana sofferenza implichino le vie di bandiere, di tamburi e di slogan urlati, nonché le non poche strade e piazze chiuse dai lunghi sit-in. Quanto duramente le proteste colpiscano e blocchino la città, e non solo in quei percorsi quasi sempre coinvolti ossia dalla zona della stazione Termini, piazza della Repubblica, via Cavour, il Circo Massimo, tutti i rioni e quartieri in cui sono dislocati i palazzi del potere, piazza Montecitorio in primis, eccetera eccetera, e di conseguenza, in base al principio dei vasi comunicanti, a subire impotenti l'inevitabile paralisi del traffico, ovunque.

Per concludere. Dalla Santa Sede proviene ai romani pure una "dote religiosa", guai qui a pensare all'anticristianità, nonostante l'abuso della bestemmia e del fideismo. Anche sotto quest'aspetto la tipica contrapposizione della città eterna vince.

Nel corso dei secoli lo spirito e le tradizioni degli abitanti hanno subito non poco l'influenza dell'alta concentrazione di Vaticano. In fondo in fondo i cittadini dell'urbe oltre a sentirsi romani e italiani, si sentono d'appartenere anche allo stato cattolico che nella capitale ancora influenza l'aria che tira. A Roma non tutti i possedimenti pontifici sono alla portata dei turisti e nemmeno dei romani senza permesso, ciò non soltanto per entrare all'interno della Città del Vaticano. La maggior parte di questi luoghi inaccessibili sono incredibilmente belli. Ce ne sono a iosa di immenso valore storico artistico disseminati in tutta la città e in provincia. Una marea di metri quadri ubicati sia all'interno che all'esterno di ettari e ettari di magnifiche proprietà in posizionamenti stupefacenti. A Roma si dice: «i mejo posti sò dé li bacarozzi» (qui i preti vengono chiamati così con una facile ironia monocromatica). I rioni del centro e i borghi di "Prati di Castello" attigui alla Città del Vaticano, oltre che di turisti, pullulano di tonache e vestiti ecclesiastici. A Roma ci sono diversi negozi di paramenti sacri. A Roma quando suonano le campane delle chiese è una "celestiale sinfonia" (quando il caos e il rumore della città lo permettono).