UNO DEGLI ANIMALI PIù misteriosI DEL CREATO di Claudio Di Giampasquale

Intorno alla «ciriola del Tevere» animaletto acquatico legato alla tradizione gastronomica capitolina, gira da sempre un misterioso e affascinante mito. Si racconta nei rioni e non solo a Roma e non solo nella penisola italica (certamente da parecchi millenni prima delle "Parilie" del 753 avanti Cristo) che questo capitone (non troppo tempo dopo la sua nascita alla schiusione del suo uovo in un lontano posto nelle profondità del Mar dei Sargassi tra le Grandi Antille e le Azzorre) si riunisca in banchi e si diriga verso più direzioni del pianeta, misteriosamente guidato da organi sensoriali che nelle fredde acque oceaniche lo aiutano a mantenere un preciso ordine di direzione. L'anguilla può vivere fino a oltre ottant'anni, la sua esistenza si divide in quattro stadi che la portano a migrare per migliaia e migliaia di chilometri. Ovviamente le protagoniste di questo racconto son tra quelle che raggiungono il vecchio continente nuotando per una marea di miglia marine fino a superare le Colonne d'Ercole e lo stretto di Gibilterra. Nelle più calde acque mediterranee, esattamente dove s'allarga tra la penisola iberica e il nord Africa si dividono dirigendosi alla volta di diverse destinazioni.

Le nostre ardimentose anguille, aggirano la Sardegna e puntano dritte a nordest tenendosi ben lontane dall'enorme vulcano Marsili laggiù nelle profondità, superando diverse isole e isolette. Un misterioso istinto indica loro che avanzando verso il centro della costa italica, troveranno l'estuario del fiume sacro loro assegnato dal fato. Come già sapessero, lo troveranno all'altezza della Fossa Traiana alla Fiumara Grande (ndó sbocca er Tevere) attratte dall'acqua dolce. È a questo punto che si compie il loro terzo stadio di transizione, lì dove l'acqua salata del mare si sposa con l'acqua dolce del fiume: perchè sono animali «eurialini».

Senza sosta, guidate dal loro arcaico istinto, imboccano il fiume contro-flusso sfidando la potenza della corrente e lo risalgono per una marea di chilometri sù e poi ancora più sù seguendo l'Orsa Maggiore a settentrione, guidate da un impulso naturale. Sfidando dighe, chiuse, cateratte, bilance e tutti i letali attrezzi da pesca del "più spietato dei nemici". Nuotano, si fermano la notte e cacciano per nutrirsi, poi con la luce riprendono impavide il loro esodo alla volta del posto scelto dal destino. Per portare a compimento  il misterioso incarico: omaggiare un posto sacro e poi tornare indietro.

I guizzanti animaletti per istinto o per magia sanno che imboccata la foce e superata l'Isola Sacra li aspettano oltre quattrocento chilometri di nuoto verso nord. Fino a sotto il bosco consacrato agli antichi dei, ove dalla "madre Terra" sgorga il fiume di Roma.

Solo le "ciriole" più fortunate riusciranno a rimontare i quattrocento chilometri di corrente contraria, superando quell'infinità di ostacoli a cui si aggiungono per non poche miglia tutte le insidie della città eterna celate tra gli alti muraglioni e suoi ponti. Fermandosi solo un pò per riposarsi nascoste nei fondali e sotto gli scogli, per attendere il buio e rifocillarsi.

E poi di nuovo ripartire risalendo la corrente, superando l'ultimo antico ponte dove il 28 ottobre 312 l'acqua del Tevere si tinse di sangue per  il trionfo del Cristianesimo.

E di nuovo a nuotare controcorrente sempre più a settentrione, oltre a dove son tornati a sparire i muraglioni e il fiume è divenuto più pulito, superando tutti gli altri ostacoli a venire: altre dighe, chiuse, cateratte e pescatori, nuotando sempre più coraggiose ancora per oltre duecento chilometri fino a "quel punto massimo" al crocevia di tre regioni, ove il fiume fu sbarrato dall'uomo e genera l'invaso di Montedoglio nei presi di San Sepolcro. Lassù la superfice d'acqua c'è un monte chiamato Fumaiolo e in un luogo incantato c'è la sorgente, immersa in un bosco di faggi, in braccio a madre natura protetta da quegli "alberi sacri" come quello narrato da Plinio nella sua «Naturalis historia» in un passo che in latino recita queste parole:  «...nel bosco sacro che circonda il tempio di Diana sui colli Albani, esiste un faggio che il sacerdote custode del tempio venera quasi fosse la personificazione della dea di cui egli è lo sposo. Lo bacia, l'abbraccia, dorme sotto le sue fronde e la sua ombra e gli versa vino sul tronco come a una vera moglie». Lassù sul Fumaiolo, accanto alla "culla del Tevere" vi è poi l'emblema che ne glorifica il mito, è una  stele di travertino con tre teste di lupa e un'aquila rivolta verso la città eterna, le due possenti specie che rappresentano la forza dell'urbe nel mondo, sono lì ad ammonire attraverso una scritta incisa : «Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma».

«CIRIOLA» L'INCLINAZIONE UMORISTICA ROMANESCA ALL'EPITETO di Claudio Di Giampasquale

Torniamo ai guizzanti pescetti protagonisti di questa storia, ormai ribattezzati da Isola Sacra a Ponte Mollo "ciriole" per la loro caratteristica capacità di "ciriolare" e sfuggire alla presa. Lo sviluppo e l'affermazione del dialetto romanesco nel medioevo fece entrare in uso comune il termine «ciriola» per definire questo capitone nei mercati, nelle cucine e nelle tavole dei rioni. La lingua italiana invece per definirlo si è ispirata alla stessa parola latina in uso nella suburra e in tutta l'antica urbe "anguīlla" desunta da "anguis" (serpe) per il suo corpo cilindrico molto allungato proprio come quello d'un serpente: forse per questo non piace a tutti.

C'è da evidenziare che tante, anzi troppe delle "ciriole tiberine" che dal mar Tirreno imboccano il fiume, non riuscirono, non riescono e non riusciranno mai a raggiungere il "punto massimo di risalita" perchè catturate dalle mazzacchere, dai guadini, dalle raffie e dalle terribili bilance, in una pesca d'anguilla che nel corso dei secoli le ha decimate. Non riusciranno mai anche perché uccise dall'inquinamento e dal degrado del "biondo fiume". Non riusciranno mai a causa delle non poche intromisioni "a gamba tesa" dell'uomo che alterano i già precari equilibri dell'ecosistema, tipo le diverse modifiche del letto dello scorso secolo, non sempre dettate da corretta logica, ultima delle quali quella del "drizzagno". Ebbene la presenza di "ciriole" nel Tevere a causa di tutto ciò e per altri motivi, si è sempre più ridotta, al punto che oggi purtroppo si è giunti quasi alla loro estinsione.

Le anguille del Tevere erano considerate dagli antichi romani un'eccelsa e generosa fortuna offerta dal dio Tiberinus divinità minore del pantheon romano personificazione del sacro fiume, che scandiva i ritmi di vita e la fortuna dell'urbe. Ne apprezzavano le carni e ne erano grandi consumatori, accostandole nella cottura (per la maggior parte dei casi sulla griglia) alle sacre foglie di alloro simbolo di vittoria e sapienza nonché elemento chiave in vari banchetti in occasione di rituali e pratiche religiose, ritenendo che questo nutrimento avesse poteri purificatori e protettivi. Gli spiedini di anguilla con alloro erano uno dei piatti tradizionali in occasione della «Tiberinalia» festa che veniva celebrata l'8 dicembre anniversario della fondazione del tempio sull'Insula Aesculapi  dedicato appunto al potente e temuto dio fluviale Tiberinus figlio prediletto di Giano bifronte.

La ciriola del Tevere era anche sinononimo di un mistero che durò per secoli anche dopo la caduta di Roma. Plinio sempre nella sua opera omnia «Naturalis historia» decretò che fosse una specie animale con riproduzione asessuata ipotizzando una bizzarra teoria di partenogenesi ossia: «Questo pesce libera sulle rocce del Tevere frammenti di epidermide dai quali nascono i nuovi esemplari» non capendone le origini non conoscendo l'attitudine dell'anguilla a riprodursi in un mare all'epoca sconosciuto. Il buon Gaio Plinio Secondo "prese questo granchio" lecitamente, tuttavia esagerò non poco per assegnare ai lettori una spiegazione plausibile del fenomeno riproduttivo del pesce. Forse se lo ometteva sarebbe stato meglio. Ma in quell'epoca mitologica la gente era assai più incline a "credere che gli asini volano". Il grande Plinio aveva constatato l'impossibilità di riproduzione in cattività dell'anguilla nei «vivarium piscium» ossia nelle grandi vasche per l’allevamento ittico ove diversi patrizi perpetravano la riproduzione di molte specie di pesci indispensabili a rifornire i loro frequenti lauti banchetti e per svariati altri motivi primo tra cui quello economico commerciale. Gli allevamenti di molluschi e di molte altre tipologie di pesci furono molto redditizi nell'antica Roma e proseguirono sino alla caduta dell'impero. Ma con anguille e ostriche l'allevamento non fuzionò.

Per ottenere qualche labile risultato, per gli antichi acquacoltori romani ci vollero diversi secoli. I più arditi e testardi affinaro tecniche e sistemi d'allevamento migliori sul delta del fiume Padus constatando un più opportuno habitat rispetto a Roma e ad altri posti dell'impero. Purtroppo anche quello nelle lagune del Padus fu un lavoro assai complesso e di conseguenza troppo costoso e con risultati altalenanti spesso difficilmente raggiungibili, basti pensare che ancora oggi la standardizzazione delle procedure d'allevamento in cattività dell’anguilla è una sfida quasi insormontabile.

Anche per tutte le ciriole del Tevere che sopravvivono alla difficile sfida della vita, a un certo punto si compie il destino che le spinge verso l'ultimo stadio di esistenza: la riproduzione. Con il passare del tempo e con l'età entra in funzione un nuovo richiamo, quello che fa loro abbandonare il Tevere e ritornare indietro nel luogo d'origine. Si rimettono così in movimento ma stavolta nel controesodo, nuotando con la corrente a favore verso le acque salate, cambiando ulteriormente aspetto e colore. Le ciriole del fiume sacro devono ottemperare al ciclo della specie dove sono nate. Ed è il momento della definitiva maturazione, proprio durante il lunghissimo viaggio di ritorno nel mare aperto, verso casa fino al luogo di riproduzione in fondo all'oceano, lontano migliaia e migliaia di chilometri.

Un divertente racconto di Vittorio Metz scrittore, umorista, sceneggiatore e regista dello scorso secolo tra gli anni venti e gli anni settanta. Romano verace, in tutte le sue opere ha divulgato e tramandato il grande amore per la sua città. Sempre cortese ed elegante, ha usato l'inflessione romanesca in modo e maniera irreprensibile nella sua prolifica carriera...

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